OSIAMO DIRE: PADRE
di p. Attilio Franco Fabris
NELL’ANTICO TESTAMENTO
Numerosi erano i popoli antichi che usavano chiamare Dio con il nome di “Padre”. Ad esempio Zeus era denominato “padre degli dei e degli uomini”; e nel secondo millennio a.C. troviamo un’invocazione sumerica al Dio Sin: “O Padre, misericordioso e clemente, che hai nelle tue mani la vita del mondo intero, o Padre generatore degli dei e degli uomini…”.
Ma occorre fare attenzione; non tutti coloro che chiamano Dio col nome di Padre si rivolgono allo stesso Dio; anche Assur il dio sanguinario di Ninive era chiamato “Padre”. Non basta fermarsi al titolo, ma occorre guardare la realtà che esso indica.
E’ una constatazione che può far sorgere meraviglia quando prendiamo atto sfogliando l’Antico Testamento, che l’appellativo Padre riferito a Dio sia usato pochissime volte (15 in tutto).
Israele infatti ha imparato a chiamare JHWH “Padre” molto tardi. Perché? Occorre pensare che nelle mitologie pagane dei popoli confinanti con Israele, la paternità di Dio era intesa in senso fisico-materiale. E questa era una visione incompatibile con l’altissima concezione spirituale che Israele aveva di Dio.
L’uso del termine “padre” poteva suggerire ad Israele, facendole infiltrare, concezioni pagane ripudiate sin dall’inizio (Gs 24,23).
Quando Israele inizierà a chiamare Dio “Padre”, e lo dovrà fare per non tralasciare la ricchissima simbologia che l’attributo conteneva, non lo farà come nei popoli pagani i quali con le loro mitologie designavano Dio come progenitore “padre del mondo”.
La scrittura userà la simbolica del padre in un primo tempo per sottolineare il dovere dell’obbedienza del figlio-Israele al proprio padre (“Voi siete figli di JHWH, vostro Dio” Dt 14,1), oppure per fondare e consolidare una prospettiva universalistica delle fede ebraica (“Non abbiamo noi tutti un unico padre? Non ci ha creati un solo Dio?”Ml 2,10).
E’ interessante ad esempio notare che la grande e tardiva religione monoteistica mussulmana tra i novantanove nomi dati a Dio non contiene quello di “padre”.
Troppo forte è per i mussulmani la concezione della assoluta trascendenza di Allah per potergli applicare una simbolica che fa troppo riferimento all’esperienza umana.
AL TEMPO DI GESU’
I rabbini al tempo di Gesù insegnavano: “Come il nostro padre è misericordioso nei cieli, così anche voi dovete essere misericordiosi sulla terra”.
Nelle “Diciotto Benedizioni”, preghiera che certamente Gesù recitava quotidianamente, leggiamo: “O Padre nostro, facci tornare alla tua legge” (V ben.); “O Padre nostro perdonaci perché abbiamo peccato” (VI ben.)
Nella preghiera dello Shemà troviamo: “O Padre nostro, tu hai pietà di noi… Padre nostro, padre di misericordia, il misericordioso, abbi pietà di noi”
Così nel Qaddish: “Che le preghiere e le suppliche di Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli. Amen!”
La setta essenica che aveva trovato rifugio sulle sponde del Mar Morto nella sua preghiera recitava: “Mio padre non mi conosce e, in confronto a te, mia madre mi ha abbandonato. Eppure tu sei padre di tutti i tuoi fedeli e ti compiaci di essi come una madre amorosa nel suo piccolo, e come un padre premuroso tu stringi al petto tutte le tue creature”.
Raccontavano i rabbini commentando Es 14,19 (“L’angelo del Signore che andava innanzi al campo di Israele si mosse e andò dietro a loro”) “Un uomo camminava per la via insieme al suo bambino. Il bambino lo precedeva, ma ad un certo punto giunsero i briganti a rapire il fanciullo. Il padre allora lo tolse davanti a sé e se lo pose dietro. Ma un lupo apparve in quella direzione ed egli tolse il fanciullo di dietro e di nuovo se lo pose dinanzi. E vennero poi i briganti dinanzi e lupi di dietro, sì che egli dovette sollevare il bambino e portarselo in braccio. Il bambino cominciò a soffrire per l’ardore del sole. Il padre lo coprì con la sua veste. Il bambino ebbe fame: il padre lo nutrì; ebbe sete e il padre gli diede da bere. Così fece Dio con Israele quando fu liberato dall’Egitto” (Mech 30a)
Riportiamo ancora una parabola tratta dall’insegnamento rabbinico contemporaneo a Cristo: “Il figlio di un re aveva preso una cattiva strada. Il re gli inviò il suo precettore con questo messaggio: “Ritorna figlio mio!”. Ma il figlio gli fece rispondere: “Con che faccia posso tornare? Mi vergogno a comparirti dinanzi”. Il padre allora gli mandò a dire: “Può un figlio vergognarsi di tornare da suo padre? E se tu torni, non torni da tuo padre?” (Dt R. 2,24).
Ma anche in questo caso chiamare Dio “Padre” non significa ancora chiamarlo “Abbà-Papà”: parola con cui i bambini si rivolgevano al loro papà.
Dicevano i rabbini: “Quando un bambino inizia ad assaporare il frumento, impara a dire Abbà e Immà”. Un termine dunque che fa riferimento all’intimità familiare,ai rapporti affettuosi e confidenziali che il bambino ha col proprio papà e mamma. Ed è il termine abitualmente usato da Gesù nel descrivere il suo rapporto con Dio, con il Padre.
Eppure Gesù lo usa abitualmente: tutte le sue preghiere iniziano con questa invocazione. Il che sta ad indicare un tipo di rapporto con Dio fatto di assoluta confidenza e fiducia, un rapporto profondamente filiale.
In Gesù possiamo ardire (Nella liturgia questo è espresso con le formule introduttive: “osiamo dire”, “Rendici degni di”…) rivolgerci a Dio chiamandolo a nostra volta Abbà. Paolo dirà: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15
E’ questa la parresia del cristiano: la semplicità schietta, la fiducia filiale, la gioiosa sicurezza, l’umile audacia, la certezza di essere amati (cfr CCC 2777).
TRE OSSERVAZIONI
1. Se per gli israeliti Dio è anzitutto l’Altissimo, il Giudice e il Legislatore, in Gesù ritroviamo l’immagine di un Padre Buono che ha cura dei suoi figli.
A lui ci si rivolge con la semplicità del bambino (Mt 5,15)
Egli ha cura di ogni sua creatura (Mt 6,25-31)
Conta i capelli del nostro capo, e conosce ogni nostra necessità (Lc 12,6).
Di lui non si deve e non si può avere paura. ).
2. Il rapporto che Gesù ha con il proprio Padre appare peculiare a lui solo. Gesù non prega mai con i discepoli dicendo “Padre nostro”. Vi è sempre in lui una chiara distinzione (“Padre mio e Padre vostro” Gv 20,27).
E’ possibile essere figli di Dio solo in lui, accogliendo il dono del suo Spirito: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).
3. Il Padre nostro può essere recitato da tutti? La paternità di cui parla Gesù è riservata a coloro che hanno ricevuto il suo Spirito. E’ una figliolanza che deriva dal dono gratuito della vita stessa di Dio.
Per cui a buon diritto esso può essere pregato in verità e consapevolezza solo da coloro che nella fede hanno accolto Gesù, la sua Parola e il dono del suo Spirito.