Fondamenti spirituali del futuro
di Olivier Clément
da Flaminia Moranti – Michelina Tenace (a cura di ) Fondamenti spirituali del futuro. Intervista a Olivier Clèment , Roma, 1997, pp.89-103
(Testo di una conferanza pronunciata da Olivier Clément al Pontificio Collegio Russicum nel marzo 1996, organizzata dal Centro Aletti e dal Russicum, divenuta pressoché capitolo conclusivo del libro Rome Autremente, DDB, Paris 1997 pp.111-128).
Il nostro presente è strano: da una parte il pianeta si unifica, dall’altra ogni etnia, ogni cultura afferma la sua identità, e la afferma contro le altre Guerre minacciose scoppiano dappertutto. Il futuro sarà fatto di guerre locali – come tutte quelle che dalla fine del secondo conflitto mondiale hanno moltiplicato le vittime: circa 60 milioni, si dice -, oppure di “guerre di civiltà”, come affermano certi politologi americani che pensano soprattutto al peso demografico sempre crescente dell’islam?
Sarà forse così ancora per un po’ di tempo, ma dopo si arriverà ad una conclusione. L’unificazione economica e tecnica dell’umanità vincerà. Allora scoppieranno – ne stiamo già vedendo i segni annunciatori – ciò che Nietzsche prevedeva: le “grandi guerre dello spirito”. E attraverso queste guerre che tenteremo di delineare ciò che potrebbero essere i fondamenti spirituali dei futuro. Alla luce, per noi cristiani, della morte e della risurrezione di Cristo.
Tali fondamenti sono per noi dei doveri:
– il dovere di superare la modernità dal di dentro
– il dovere di rispondere all’argomento del male
– il dovere di assumere teologicamente e spiritualmente l’unità del pianeta
– il dovere di elaborare un nuovo stile di vita.
1. Superare la modernità dal di dentro
La modernità come liberazione dalle costrizioni clericali ha permesso straordinarie esplorazioni: dell’universo, dalle nebulose fino alle particelle infinitesimali della materia; dell’uomo nel suo corpo e nella sua anima – si è passati, come si è detto, “dall’uomo delle caverne alle caverne dell’uomo” – dell’arte fino ai confini della soggettività e della follia; della politica fino all’elaborazione mai conclusa di uno “Stato di diritto” che non pretende di imporre una verità ma lascia che cercatori e testimoni cerchino e testimonino liberamente. In questo senso, la modernità durerà. Non si potranno imporre costrizioni alla libertà.
Eppure oggi la libertà s’interroga e s’angoscia. Il nostro primo compito è di seguirla dall’interno nel suo movimento per proporgli umilmente un ambito e un esempio che la liberino dal nulla. Come? Portando una giustificazione ultima all’esistenza; “orientando” la scienza e la tecnica; approfondendo la solidarietà in comunione. Proponendo una giustificazione all’esistenza.
1. Mai la morte è stata tanto repressa e così nuda. Il nulla corrode tutto, suscita derisione, ricerca parossismi dove si rischia la propria vita e quella degli altri. Sul tavolo di uno studente che si era appena suicidato è stato trovato un biglietto con su scritte queste parole: mi uccido perché la vita non ha senso. Il fondamento da porre qui non è l’esaltazione della vita – di fronte al nulla, tutto il mondo esalta la vita, ma questa è stranamente mescolata alla morte (“una vita morta”, diceva san Gregorio di Nissa) – è la testimonianza della vita risuscitata: in Cristo, sotto il soffio dello Spirito, uno spazio di non-morte si apre per noi. Esistono degli uomini che, praticando fino in fondo la “memoria della morte”, scoprono nel più profondo di sé Qualcuno che si frappone per sempre fra l’uomo e il nulla: il Cristo risorto, vincitore della morte e dell’inferno. Allora si può tentare di amare, tentare di vivere; la vita eterna comincia già qui, da adesso.
2. “Orientando” la scienza e la tecnica. Oggi l’uomo non sa che fare della sua potenza. Talvolta la sua scienza, o meglio, le sue scienze, al plurale, non riescono più ad esaurire la realtà e urtano d’altronde contro il caos: talvolta invece, in biologia soprattutto, il prometeismo si esaspera, pretende di creare la vita, di fabbricare l’uomo su ordinazione. I simbolismi più originali vengono rigettati, quelli che riguardano l’unione dell’uomo e della donna, la relazione fra genitori e bambino. Ci si avventa sui “tabù” e non si rimane che delle solitarie “macchine del desiderio”. Gli embrioni vengono congelati e poi distrutti, si disprezza il ritmo della terra fino a snaturare la natura. La violenza si esaspera nella bruttezza delle megapoli inquinate.
Il fondamento spirituale che va posto qui è doppio: la transcendenza della persona, il mistero della creazione, della terra.
Un’antropologia onesta non può non constatare il carattere irriducibile della persona, sempre al di là di tutti i suoi attributi e condizionamenti. Più conosco qualcuno e più mi è sconosciuto. I concetti sono sempre superati dal volto, dal vero volto, al di là di tutte le maschere che sì esprimono nello spiraglio di uno sguardo, nella luce di un sorriso, nella presenza che mi interroga, mi obbliga a rispondere, come ha ben detto Lévinas. Sì, e lo dobbiamo far capire, l’uomo è ad immagine di Dio. Come Dio, egli è segreto e amore. Né la scienza, né la tecnica valgono qualcosa se rifiutano o ignorano questa trascendenza della persona.
Mistero dell’uomo, mistero anche della terra. Se la Bibbia e il cristianesimo, i monaci in particolare, hanno strappato la persona all’impersonalità della Terra Madre, della Grande Dea arcaica, bisogna che oggi rinunciamo a vedere nella terra soltanto uno sfondo più o meno piacevole o un serbatoio di energie industriali inesauribili, perché non è vero. La “nostra sorella Madre Terra”, diceva san Francesco d’Assisi. La nostra sorella la nostra sposa. La civiltà tecnicista deve rannodare il patto nuziale con la terra. Dobbiamo reintegrare in un cristianesimo rinnovato le grandi intuizioni dei vecchi paganesimi, la terra come teofania, diciamo: come eucaristia. Dobbiamo far incontrare la conoscenza orizzontale, puramente casuale delle cose, con la conoscenza verticale delle radici celesti delle cose. Così la nostra scienza e la nostra tecnica lavoreranno nel rispetto della terra per renderla bella e spiritualizzarla.
3. Approfondire la solidarietà in comunione. La solidarietà è oggi uno dei valori che toccano di più i giovani occidentali. Sono capaci di grande dedizione, in particolare nelle organizzazioni non governative; non si tratta né di semplici gesti individuali di carità, né di ideologia facilmente usata dallo Stato, o di fanatismo. C’è un vero gusto dei concreto e dell’efficacia. Ma c’è anche il rischio dello scoraggiamento e dell’amarezza.
Il nostro ruolo: approfondire la solidarietà in comunione, nella certezza che esiste un solo Uomo, un unico Adamo incessantemente spezzato dal nostro peccato, incessantemente ricostruito in Cristo, nel quale siamo tutti consustanziali, “membri gli uni degli altri”. E in questa immensa unità, ognuno, senza cercarlo, diventa unico. Questo è il mistero di Dio che si comunica all’umanità. Comunione del Dio-Trinità come Tarkovskij ha suggerito alla fine dei suo film su Andrej Rublëv, mostrando l’icona dei Tre Angeli splendente di luce e di colore, Dio nel simbolo della giovinezza e della bellezza e che “apre all’umanità un futuro ancora confuso nei secoli”. Allora non ci può più essere scoraggiamento o amarezza; in Cristo risorto anche i nostri fallimenti sono trasfigurati. Ogni nostro gesto concreto d’amore anticipa il Regno.
2. Rispondere all’argomento del male
L’argomento fondamentale dell’ateismo di oggi e di domani è che l’esistenza di un Dio onnipotente e buono è incompatibile con la realtà atroce del male – che non è soltanto umano e che quindi potrebbe chiamare in causa la libertà – ma è anche cosmico. Quando un popolo già massacrato dalla storia come il popolo armeno subisce anche un terremoto, quando i bambini nel Messico vengono sepolti da un fiume di lava, quando altri bambini dovunque nel mondo sono colpiti dal cancro, tutto sembra assurdo. I media – in Francia, almeno – sottolineano con intenzione nella cronaca: “un pullman di religiose in pellegrinaggio a Lourdes è precipitato in un burrone”. Oppure: “un bambino pregava davanti ad una grande croce di pietra. La croce è caduta e ha schiacciato il bambino”. Si riconosce l’argomento di Ivan Karamazov, che “restituisce il suo biglietto” a Dio a causa della sofferenza dei bambini innocenti. Dicono: affermate che Dio è onnipotente, ma il mondo è un caos assurdo. Dite che è buono, ma prepara per un’infinita’ di dannati le eterne torture dell’inferno. Lungo la storia e anche oggi, gli uomini si massacrano nel nome di Dio. Dite che Dio è misericordioso, ma sembra invece che sia lui a provocare crudeltà e odio. Il filosofo franco-americano René Girard ha ragione di accostare violenza e sacro: la gente si aggrega subito attorno ad un unico capro espiatorio, la comunità funziona su meccanismi di esclusione e, se si tratta di un gruppo religioso, proietta volentieri lo stesso meccanismo nell’eternità.
E allora, quale fondamento spirituale porre per il futuro? Va detto con forza che il nostro Dio è innocente, che non ha voluto e non vuole la morte, che non ha neanche idea del male. Bisogna farla finita con”quest’idea di un Dio diabolico, ad immagine dell’uomo e della parte peggiore dell’uomo. Sì, c’è un’onnipotenza di Dio, perché può creare e lasciar esistere fuori di sé altre libertà, quella dell’angelo e quella dell’uomo. Se c’è un’onnipotenza di Dio essa è inseparabile dalla sua onni-debolezza. Dio si ritira in qualche modo (nozione vicina allo zimzum della mistica ebraica) per lasciare all’angelo e all’uomo lo spazio della loro libertà. Egli attende il nostro amore, ma l’amore dell’altro non si comanda. “Ogni grande amore è sempre crocifisso”, diceva Evdokimov. Sì, Dio ha rischiato, Dio è entrato in una vera e dunque tragica storia d’amore. L’Adamo molteplice che siamo tutti noi non ha potuto evitare la prova della libertà. Per affermarsi, per individualizzarsi, si è allontanato dal Padre come il figlio prodigo della parabola. Allora il mondo, creato dal nulla – cioè che non ha fondamento in se stesso – ha cominciato a scivolare verso il nulla, questo nulla al quale gli angeli decaduti che dimentichiamo con troppa facilità, danno una consistenza distruttrice. In un certo modo, Dio è stato escluso dalla sua creazione, non la mantiene che dall’esterno. Dio è diventato un “re senza regno , secondo l’espressione di Nicola Cabasilas. Davanti al male universale – il mondo che “giace nel male”, come dice san Giovanni – “il volto di Dio piange sangue nell’ombra”, violenta espressione di Léon Bloy spesso citata da Nikolaj Berdjaev.
Fino a che il “sì” di una donna permette a Dio di rientrare nel cuore della sua creazione per restaurarla, per strappare l’umanità alla fatalità e al fascino del nulla e aprirgli, anche attraverso le tenebre, vie di resurrezione. Ma il Dio crocifisso non ha il potere dei tiranni e delle tempeste. E’ un immenso influsso di pace, di luce e di amore che, per agire, ha bisogno di cuori che si aprano liberamente a Lui. La Parusia avverrà per effrazione, e non c’è già ora un momento che non possa lasciar passare la sua luce. Ma essa esige anche una preparazione: in Cristo, sotto il soffio dello Spirito, l’uomo ritrova la sua vocazione di creatore creato. Davanti al cieco nato, Gesù rifiuta di dare spiegazioni a partire dal peccato: né quest’uomo né i suoi genitori hanno peccato. Ma quest’incontro avviene per la gloria di Dio, e Lui lo guarisce. La spiritualità del terzo millennio sarà meno di rifiuto e più di trasfigurazione; una spiritualità pasquale, una spiritualità di risurrezione!
Allora capiremo clic non si possono mettere limiti alla speranza, come diceva Hans Urs von Balthasar. La preghiera e il servizio per la salvezza universale saranno la risposta alla tragedia dell’inferno. L’inferno, come condizione generica, come assenza di Dio, è stato distrutto dal Sabato santo. Dio ormai non è più assente da nessuna parte. Ma bisogna “sedersi alla tavola dei peccatori”, come diceva Teresa di Lisieux, e “versare il sangue del proprio cuore”, come aggiungeva lo starets Silvano del monte Athos, affinché l ‘ultimo inferno, quello dell’individuo chiuso in se stesso, sia sommerso dall’onda di amore della comunione dei santi, cioè i peccatori che accettano di essere perdonati.
Uno dei fondamenti spirituali maggiori dei futuro sarà quindi la kenosi. Nella Lettera ai Filippesi san Paolo dice che Dio in Cristo ekenosen, si è annullato, svuotato di sé. Intuizione geniale: evocare Dio non nel linguaggio del pieno, ma nel linguaggio del vuoto. Il pieno rimanda alla ricchezza, all’abbondanza, alla potenza. Lo svuotarsi, il vuoto, esprime il mistero dell’amore. Dio si trascende verso l’uomo in un movimento inverso. Non è un Dio pienissimo, pesante, che schiaccia l’uomo, ma un Dio “svuotato” nell’attesa della nostra risposta d’amore.
3. Assumere e assicurare spiritualmente l’Unità planetaria
L’unità planetaria si sta realizzando nonostante o attraverso i particolarismi che si moltiplicano. Due grandi fratture mi sembrano caratterizzare per oggi e per domani la situazione spirituale dell’umanità. Anzitutto, ci sono due emisferi spirituali. Da una parte l’emisfero che si rifà all’India: induismo, giainismo e tutte le forme di buddismo di cui alcune, in Cina o in Giappone, sono molto vicine alle tradizioni arcaiche come lo scintoismo o, provengono, come lo stesso buddismo, da ciò che Jaspers chiamava il “periodo assiale” della storia (VII-IV sec. prima della nostra era): penso ad esempio al taoismo. In questo emisfero, il divino – o il soffio di vita, il ki cinese – affiora dappertutto, divino impersonale che il mondo manifesta e nel quale si riassorbe. Il pensiero dominante è un pensiero dell’Unità che abbraccia tutto, un pensiero dell’Identico, con una concezione ciclica del tempo e l’universalità del Sé di ognuno (perché una mamma ama suo figlio, si chiede l’Upanishad? La risposta è: non è per amore del bambino, è per amore del Sé che è identico nel bambino e nella donna).
L’altro emisfero si potrebbe definirlo “semitico” e riguarda soprattutto il giudaismo e l’islam, almeno nelle loro forme “esoteriche”. Qui si afferma la trascendenza del Dio personale e il carattere personale, o piuttosto individuale dell’uomo. Il pensiero è rivolto all’altro senza unità (tranne in certe forme di sufismo e di cabbala segnate dal neoplatonismo, l’Iran e l’India, dove si ritrova spesso una sensibilità fusionale). Dio è in cielo e l’uomo è sulla terra. Dio dà una legge e l’uomo deve obbedirgli. Il tempo si fa lineare sia sotto forma di tensione nel giudaismo, che sotto forma di richiami nell’islam.
L’altra frattura oppone le società tradizionali e la società occidentale moderna. Le società tradizionali sono “diviniste” o magiche, ripetitive, spesso, come in Africa e in America dei Sud, profondamente “vitali”, mentre la società occidentale moderna è umanista, innovatrice e devitalizzata. Invade oggi la terra intera, ma le società tradizionali lasciano tracce e nostalgie profonde, e le loro magie nutrono il “New Age”.
I fondamenti spirituali del futuro in questo contesto si chiamano Trinità e divinoumanità.
Certo, prima o poi dobbiamo prima di tutto affermare che il nostro Dio non è il Dio delle “guerre sante” e delle crociate, ma il Dio della Croce vivificante. Le differenze, anzi le contraddizioni fra religioni non devono essere luogo di guerre ma di amicizia e di preghiera, se non proprio comune, perlomeno insieme, come ad Assisi. E anche, ogni volta che è possibile, uno scambio che potrebbe prodigiosamente arricchire il cristianesimo, perché, in una prospettiva escatologica, bisogna riconoscere che le “economie” di Dio sono molteplici.
Più profondamente importa capire e diffondere sempre di più il mistero della Uni-Trinità: il Dio vivo è talmente uno che porta in sé la realtà, il battito dell’altro, e nello Spirito, nel Soffio santo, il superamento di ogni dualità: non per ripiegamento in un’unità impersonale, ma per coincidenza dell’unita assoluta con la diversità assoluta. Ed è lo stesso, almeno come promessa, in germe, in divenire, per l’umanità, visto che l’uomo è ad immagine di Dio: unità totale in Cristo, diversità totale sotto le fiamme della Pentecoste perpetua. Un prete e monaco russo che fu, alla vigilia della rivoluzione, missionario in Siberia ,scrive che ammirava tanto i saggi indù che esitava a portarli al battesimo. Ma, aggiungeva, questi saggi sono talmente assorbiti nella loro interiorità che hanno gli occhi chiusi; la missione dei cristiani potrebbe essere quella di portarli ad aprire gli occhi per vedere l’altro, senza per questo rinunciare alla loro interiorità, di cui essi devono insegnarci le vie.
L’altro tema fondamentale per il futuro è quello della divinoumanità come spazio dello Spirito e della libertà creatrice. Tutte le esperienze orientali del divino e tutte le esperienze occidentali dell’umano devono trovar posto nella divinoumanità. Alle religioni della sola trascendenza, attraverso i loro mistici, noi diremo l’incarnazione e la kenosi. Alle religioni della fusione nell’impersonale, noi parleremo dell’Uni-Trinità. Agli umanesimi più o meno atei, ricorderemo che l’uomo non sarebbe nulla se non fosse, al dì là di tutti i condizionamenti, un enigma, un segreto nel quale possiamo entrare solo attraverso la rivelazione dell’amore.
Allora potremo rispondere alle attese di oggi che si cristallizzano attorno al New Age e che se non sapremo capirle, diventeranno anticristiane. Queste attese riguardano il cosmo, l’eros, la meditazione trasformante.
Plutarco racconta di aver sentito un grido dal mare: “il grande Pan è morto!” Sembra che oggi rinasca di nuovo. Si prende coscienza del proprio corpo, accordandolo ai ritmi cosmici. I poeti cercano nuovi nomi del divino nella densità degli esseri e delle cose. Nell’Europa centrale ecologismo e buddismo si uniscono nel desiderio di fondersi nella natura, l’immensa e materna Gaia.
L’avvenire del cristianesimo sarebbe qui di trovare una visione liturgica e mistica del cosmo. L’eucarestia compie le potenzialità sacramentali della materia. Tocca all’uomo, sacerdote del mondo, offrire a Dio, nel grande sacrificio cristico della reintegrazione, le essenze spirituali delle cose. Tocca a noi dare a questa visione trasfigurante tutta la stia portata culturale e sociale e così fecondare l’ecologia. I grandi “sofiologi” russi hanno tentato di farlo all’inizio di questo secolo; le loro concettualizzazioni erano forse maldestre, però dovremmo riprendere la loro riflessione sulla Sapienza, questa figura misteriosa che appare soprattutto nell’ottavo capitolo dei Proverbi, figura nella quale Dio e la creazione sembrano interpenetrarsi mutualmente. Attraverso la Sapienza, i vecchi miti della Terra sacra possono integrarsi nel cristianesimo come poetica della comunione. Non c’è dubbio che c’è un legame misterioso fra la Sapienza e la Madre di Dio nella quale la Terra trova finalmente il suo volto…
in secondo luogo, dobbiamo anche constatare che nella storia del mondo cristiano la sfiducia nei confronti dell’eros è stata a lungo necessaria per assicurare, contro le fatalità della specie e delle estasi fusionali, la piena rivelazione della persona e in particolar modo della donna come persona. Poco a poco però l’eros, invece di essere trasfigurato, è stato negato. Oggi irrompe perciò la rivolta folle della vita. Il cristianesimo dei tempi nuovi scoprirà tutto il significato dell’eros, ne mostrerà il compimento nell’arte che avvia la trasfigurazione del mondo, il compimento nell’ascesi che fa dell’uomo o della donna un essere “separato(a) da tutti, e unito(a) a tutti”, come diceva Evagrio Pontico. Rispetterà la passione la più folle, senza ignorare le sue vie senza uscita, sapendo che coloro che vivono e muoiono – una tale passione sono marcati dal sigillo dell’assoluto. Celebrerà l’amore che c’è fra un uomo e una donna quando l’eros si integra nell’incontro delle persone e quando l'”estasi della vita” diventa il linguaggio più forte che un uomo e una donna possano comunicarsi. Pur ricordando che solo la vita monastica può realizzare pienamente le nozze di Cristo e dell’anima, e che è una benedizione per la spiritualità nuziale, per il mistero del bambino.
L’ultimo tema: quello della meditazione trasformante. Molti oggi sentono una grande esigenza di silenzio e di pace. Si rivolgono ai metodi di concentrazione dell’India e del buddismo, alla “meditazione trascendentale”. Riescono a raggiungere a volte una certa unificazione, però sono sempre sotto il rischio di orgoglio gnostico, di ipertrofia dell’io occidentale, confuso con il Sé orientale. Rischiano anche di confondere la grande fatica attuale dell’occidente con la negazione buddista del desiderio.
La risposta cristiana per domani sarà di ritrovare e di attualizzare l’immenso patrimonio del cristianesimo. Penso in particolare, al di là delle forme sentimentali e psicologiche del “misticismo”, alla grande tradizione ortodossa della Filocalia – parola che significa amore della bellezza – e dell’esicasmo – parola che allude alla pace, al silenzio dell’unione con Dio (hesychia). Tradizione che ha d’altronde le sue radici nel terreno della Chiesa indivisa. L’esicasmo conosce tecniche simili a quelle dell’Asia per liberarsi dagli idoli mentali, pulire l’intelletto dai “pensieri”, unire l’intelligenza e il cuore, utilizzare i ritmi dei corpo come quelli della respirazione e del sangue. E a questo livello uno scambio è possibile. Ma, mi sembra, l’asceta indù (o buddista) s’immerge spesso (non sempre) e si dissolve nell’abisso luminoso del Sé, o in questo “nirvana” che non può essere evocato che negativamente, mentre l’asceta esicasta scopre che questa luce sgorga da una sorgente personale nello stesso tempo infinitamente vicina e infinitamente lontana. La “meditazione”, allora, diventa relazione, l’unità non può fare a meno dell’alterità, tutto culmina nella comunione con Dio e con il prossimo. In questo servizio del prossimo di cui l’occidente cristiano ha sempre avuto l’esigenza e la pratica.
4. Un nuovo stile di vita
Per finire direi che i fondamenti spirituali del futuro devono incarnarsi in un nuovo stile di vita, fatto insieme di umiltà e di fierezza, di ascesi e di fantasia: la “gaia scienza” nello Spirito Santo. Uno stile regale, ma senza dimenticare che il re ha sempre bisogno di un buffone: tentare di essere cristiano nel mondo, così com’è e come sarà, esigerà una certa “follia”.
Uno stile che esigerà la più alta ascesi, perché ci vorrà tutta la forza dello spirito nel senso di viva intelligenza affinché l’uomo possa aver potere sul proprio potere. Uno stile che esigerà simultaneamente l’ardore di un cavaliere della vita e l’intuizione e l’impertinenza dell’artista. Uno stile che si esprimerà in un incontro rinnovato dell’uomo e della donna: non di subordinazione, né di complementareità, ma due solitudini e due pienezze, due modi di vivere il mondo e di farlo esistere, a volte per grazia di farlo esistere in un nuovo Cantico dei Cantici. Uno stile in cui si “respira lo Spirito”, in cui si balia nella non-morte, perché il Cristo è risorto. E poiché Cristo è risorto e lo Spirito è versato segretamente dappertutto e abbraccia tutto, vorrei concludere con le parole di Nikos Kazantzakis: “Ogni uomo può salvare il mondo intero”.