• 02 Set

    Rimanete saldi nel Signore

    Lectio di Fil 4,1-9

    di p. Attilio Franco Fabris

    La comunità è dono prezioso che lo Spirito ha posto nelle nostre mani per cui essa va amata e custodita, protetta come il tesoro più caro consegnatoci da nostro Signore. Essa è tesoro prezioso perché è luogo della sua presenza, è la scuola della nostra sequela e dell’esperienza concreta di fede, luogo infine in cui viene resa testimonianza viva ed efficace della Buona Notizia, perciò con il salmista possiamo cantare: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 132,1).

    Ma la comunità è purtroppo sempre insidiata dalla presenza del male che è in noi e attorno a noi, e le forze del male agiscono sempre in antitesi al progetto di Dio. Queste hanno un potere disgregante e… anticoagulante: sfaldano e talvolta distruggono la comunità; per cui bisogna essere sempre vigilanti e nutrire la comunità rafforzandola con il pane dei forti che è l’ascolto della Parola e l’Eucarestia, ed esercitando continuamente la pratica del perdono reciproco e della riconciliazione.

    Iinvochiamo con insistenza lo Spirito sulle nostre comunità e su ciascuno di noi perchè talvolta rischiamo di dimenticarci che è lui il protagonista e l’artefice primo del loro esistere e sussistere: “Non sentiamo un vento violento e non vediamo le lingue di fuoco eppure crediamo che lo Spirito agisce qui, ora, in mezzo a noi. Spirito di Dio, inondaci di luce! Strappaci al potere delle tenebre. Spirito di Dio, guarisci la nostra fragilità! Facci crescere come autentici figli di Dio. Quando le preoccupazioni si fanno troppo pesanti, Spirito di Dio, alleggerisci il nostro cuore! Quando attraversiamo i deserti della vita, Spirito di Dio, donaci una freschezza nuova! Quando l’insuccesso ci getta nella depressione, Spirito di Dio, donaci il coraggio necessario di agire.Spirito di Dio, imprimi sul nostro volto la traccia della bellezza e della tenerezza di Dio. Diventeremo una consolazione per tutte le creature della terra. Metti nei nostri cuori l’amore del Padre, fa’ risuonare dentro di noi la parola di Gesù. Conduci i nostri passi per vie nuove, quelle vie in cui si incontrano  la pace e la giustizia”.

    Lectio

    L’apostolo Paolo saluta i cristiani di Filippi definendoli “gioia e corona” del suo ministero. Essi sono da lui riconosciuti come il suo più grande vanto nell’opera di evangelizzazione per cui ha speso interamente la vita. Interessante il riferimento alla “corona” simbolo che fa riferimento all’ornamento sia del sacerdote che la indossava solennemente durante il suo ufficio, oppure del vincitore di una gara che con una corona di allora veniva premiato (cfr 1Cor 9,25). La comunità di Filippi, nata dall’annuncio della Buona Notizia, rappresenta per Paolo la realtà di cui gloriarsi e ornarsi nel Signore; e questo dimostra quanto cara e preziosa sia per lui.

    Il primo invito pressante di Paolo a questi nuovi cristiani è di “rimanere saldi nel Signore”: è un imperativo che fa da sfondo a tutta la sua esortazione apostolica. Esso è giustificato dal fatto che la fede, seppur accolta con entusiasmo all’inizio, non è mai un dato acquisito per sempre: essa essendo essenzialmente un vissuto di relazione e di consegna all’Altro all’interno di una comunità può essere sempre minata da mille ostacoli, pericoli e deviazioni che la pongono a rischio minacciando addirittura di farla scomparire. In questo senso la “vigilanza” è caratteristica essenziale del vissuto di fede personale e comunitario: “siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà” (1Pt 1,13).

    Che questo “rimanere saldi” sia necessario sembra motivato concretamente dal fatto che la comunità di Filippi sta vivendo un momento difficile al suo interno: divisioni, invidie, gelosie mettono sempre a repentaglio l’opera unificatrice dello Spirito del Signore. Vengono nominate esplicitamente due donne: Evodia e Sintiche. Esse sono state due valide collaboratrici  dell’azione evangelizzatrice di Paolo durante la sua missione (questo accenno è importante per riconoscere il ruolo non trascurabile delle donne nella chiesa primitiva). Tuttavia tra queste due donne emergenti deve essere sorta qualche tensione, che non viene esplicitata, ma che sicuramente sta procurando fratture e sofferenza non solo tra loro due ma a tutta la comunità. Desiderio di primeggiare? Forse! Queste sono le piaghe e le debolezze della comunità che sempre e ovunque affiorano mettendo in evidenza tutta la contraddittorietà del cuore umano! Paolo le invita pressantemente a ritrovare la via della riconciliazione e della “buona armonia”.  Per facilitare la loro rappacificazione Paolo invita ad intervenire un certo Sizigo e un certo Clemente; sono certamente  personaggi autorevoli all’interno della comunità: l’apostolo li invita a farsi mediatori tra le due operando per la loro riconciliazione. Sizigo letteralmente significa “compagno di giogo”, cioè “collega”: lo è di nome e molto di più di fatto se Paolo lo investe di questo delicato compito.

    Paolo esorta questi suoi collaboratori ricordando che i loro nomi verrà scritto “nel libro della vita” proprio a motivo del loro operare nel nome del Signore per il bene della comunità: avere i “nomi scritti in cielo nel libro della vita” significa che Dio terrà conto dei meriti di queste anime (cfr Sal 68,29; Dn 12,1; Ap 3,5; Lc 10,20; Es 32,32-33; Is 4,3).

    Dopo aver affrontato questo delicato problema di divisione e aver indicato vie concrete di soluzione Paolo esorta la comunità a vivere “nella gioia” (cfr 3,1) aggiungendo “sempre”. Le tensioni e le spaccature sono purtroppo spesso inevitabili e sono sempre fonte di tristezza per tutti! Ma questo non deve turbare la gioia e la pace della comunità. Dove trovare il motivo e il fondamento di una gioia permanete che nulla può turbare la comunità? Il fondamento di questa gioia permanente risiede unicamente nel riconoscere di aver ricevuto un annuncio che è promessa sicura di salvezza nel Signore, e questa salvezza non può non trasformarsi in una gioia dirompente che trasborda e chiede di essere comunicata agli altri anche quando si è nella prova.

    Conseguenza di questa gioia che consiste nel sentirsi amabili e amati in Cristo dal Padre, è un atteggiamento di “amabilitàaffabilità” (v.5) che deve contraddistinguere le relazioni tra i membri della comunità e che si riversa di conseguenza su tutti.

    Paolo offre un’ulteriore motivo e fondamento all’invito alla gioia che deve caratterizzare la comunità di Filippi: “Il Signore è vicino!” (v. 5). Questa espressione era molto cara alla liturgia delle prime comunità che ripetutamente invocavano: “Marana tha! Il Signore viene!” (1Cor 16,22; cfr Rm 13,12; Gc 5,8; 1Pt 4,7; Ap 22,20).  Non sembra che qui Paolo voglia pronunciarsi circa il tempo cronologico effettivo che separa la comunità dal ritorno del Signore glorioso in quanto il “giorno della parusia” è già presente e operante. La “gioia” che scaturisce dalla “vicinanza” del Signore è identificabile con la consapevolezza del dono sovrabbondante di vita che già fin d’ora ci sono donate in attesa del suo compimento definitivo.

    Certo questa pace e questa gioia si collocano sempre in una storia segnata dalla contraddittorietà: nella vita le prove, le sofferenze e le preoccupazioni non mancano e  Paolo non lo nasconde, tuttavia invita i cristiani di Filippi a far attenzione a che queste ansie non le soffochino. Di fondamentale importanza per conservarle sarà l’esercizio costante della preghiera: “in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti” (v. 6).

    Frutto della gioia, sorretta dalla preghiera, sarà l’esperienza di una profonda “pace” (v. 7; cfr 1Ts 5,23; 2Cor 13,11; Fil 4,9; Gv 14,27). Si tratta di una pace che pervade tutto l’essere e diviene esperienza unica non paragonabile a nessun’altra perché comporta un’unione con Dio, cosa “che sorpassa ogni intelligenza“. Come spiegare infatti la gioia e la pace in mezzo alle tribolazioni e sofferenze come testimonia lo stesso Paolo che scrive queste righe dal carcere?

    Questa “pace” è in grado d’essere “sentinella” (“custodirà”) dei pensieri e degli affetti che si affacciano al cuore; operando un fondamentale discernimento preserva il cuore da turbamenti e agitazioni inutili. Ciò che dà pace non può infatti se non venire da Dio!

    Segue un elenco di virtù umane e cristiane in cui continuamente i credenti dovranno esercitarsi; Nulla di quanto è profondamente umano può essere disprezzato dal credente: “Tutto ciò che è vero… tutto ciò che è giusto….” (v. 8).  E’ un vero e proprio programma di vita quello proposto dall’apostolo. L’esortazione infine termina con due imperativi: “questo attiri la vostra attenzione…questo mettete in pratica” (v. 9) in altre parole: questo pensate e questo fate!
    A Paolo non resta concludendo che rimandare con sollecitudine i suoi cristiani agli elementi del cammino di iniziazione cristiana ovvero catecumenale da lui annunciati e che devono rappresentare i fondamenti stabili e sicuri del loro cammino di fede pur in mezzo a tutte le difficoltà : “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!”. Solo questa obbedienza alla Parola sarà sorgente di vera pace e non di divisioni o inutili antagonismi che denotano il più delle volte l’aver perso questo essenziale punto di riferimento.

    Collactio

    Dall’ascolto di questa Parola di Paolo apostolo alla comunità di Filippi cerchiamo di trarre qualche spunto di meditazione applicandola alla vita.

    Anzitutto sottolineiamo come la “gioia e la corona” per Paolo è la comunità di credenti che lui ha generato attraverso l’annuncio della Parola del Vangelo: egli non si gloria di strutture, opere e successi umani transitori, ma riconosce che quella comunità, pur con tutti i suoi limiti, è il “coronamento” di un’azione che non è solo e anzitutto sua ma dello Spirito del Signore Gesù: questa comunità è da lui considerata la sua “corona” ovvero il tesoro prezioso, che lui ama e desidera custodire ad ogni costo.

    Di che cosa anzitutto noi ci gloriamo quando prendiamo in considerazione le nostre comunità? Il parroco si gloria dell’oratorio nuovo oppure della chiesa appena restaurata, il superiore della comunità illustra il numero di iniziative e opere messe in atto e portate avanti magari con eroismo ma forse è raro trovare il pastore che si gloria anzitutto della sua comunità, riconoscendovi il dono prezioso del Signore di cui prendersi amorevolmente cura prima ancora che dei muri e delle tante attività.

    Il “patrimonio” da custodire nelle nostre comunità non sono anzitutto le opere che realizziamo o le strutture che possiamo ancora innalzare o “tenere in piedi” ad oltranza: il rischio va in questa direzione perché sono queste realtà ad  attirare i riflettori, i consensi e gli applausi ma a poco o nulla servirebbero se non fossero espressione di una realtà ben più importante: quella costituita da quelle persone con dei volti precisi che il Signore ha raccolto in una sola famiglia perché il loro amarsi testimoni al mondo la possibilità e la bellezza della carità che da Dio attraverso Cristo ci è stata donata: purtroppo tante opere pur belle, nuove e splendenti di pulizia e ordine sono vuote, asettiche e fredde perché non trasmettono alcun calore, sono prive di vita, anche se ben organizzate: il motivo? Sono prive del primato della passione per il Regno di Dio, spesso sono solo autocelebrazione. Al Regno di Dio tutto questo non serve, anzi ne è ostacolo! Così purtroppo talvolta privi di discernimento come siamo scambiamo come patrimonio inalienabile ciò che non lo è.

    Una seconda riflessione che traiamo dal nostro testo consiste nel fatto che il tesoro, il “patrimonio” della comunità è purtroppo sempre minacciato di… estinzione. Le contraddizioni e le fratture, come nella comunità di Filippi, sono inevitabili a causa delle rivalità, gelosie, invidie, rancori… che si annidano nei nostri cuori e che affiorano anche se, come Sintiche ed Evodia, ci siamo indaffarati fino ad un minuto prima, a pieno ritmo per la causa del Vangelo! E’ la nostra povertà, la conseguenza della ferita del nostro peccato che ci porta a vedere nell’altro un antagonista e una minaccia e questo rischia di produrre nella comunità un’azione disgregante. Non bisogna scandalizzarsene perché si tratta di prendere umilmente atto della nostra realtà di creature segnate dal peccato e bisognose di guarigione. Jean Vanier ha scritto un testo intitolato: “La comunità: luogo di festa e di perdono“, in esso ricorda come la comunità non sia formata da uomini e donne perfetti perché tutti siamo feriti, chi più chi meno, nella capacità di amare ed essere amati: la comunità diviene così palestra in cui continuamente esercitarci nel perdonare e nell’essere perdonati: “La comunità è il luogo del perdono. Nonostante tutta la fiducia che possiamo avere gli uni negli altri, ci sono sempre parole che feriscono, atteggiamenti che prevaricano, situazioni nelle quali le suscettibilità si urtano. E’ per questo che vivere insieme implica una certa croce, uno sforzo costante e un’accettazione che è un mutuo perdono quotidiano. Se si entra in una comunità senza sapere che vi si entra per imparare a perdonare e a farsi perdonare settanta volte sette, ben presto si renderà delusi” (J. Vanier, op cit.). Solo con questo costante atteggiamento si può costruire concretamente una comunità e accrescerne il vero “patrimonio” che è quello dell’amore che dà testimonianza. Questo è possibile se in ciascuno prende consistenza la consapevolezza che la comunità va costruita con l’apporto di tutti sapendo che è necessario, come fa Paolo, mettere in atto tutte le possibili strategie che possono aiutarci a preservare il “patrimonio” della comunità dall’estinzione. Spesso noi purtroppo ci arrestiamo di fronte ai problemi e non attuiamo nulla per risolverli cosicché il male si irretisce sempre più scavando fosse di divisione sempre più profonde. Quali gli strumenti privilegiati? Il ritrovarsi attorno alla Parola lasciando che sia lei e non noi a giudicare e illuminare la vita di tutti e di ciascuno facendoci intravedere  la direzione da percorrere, e poi un’autentica e sincera correzione fraterna vissuta guardandosi negli occhi e tenendo ben fisso l’obiettivo che è in primo luogo la propria conversione  prima che la conversione dell’altro, infine il dialogo e la condivisione sono per ogni comunità gli strumenti essenziali per costruire e/o sanare autentiche relazioni. Tante preghiere stereotipate e sganciate dalla vita non servono a nulla! I problemi ci saranno sempre e comunque, non bisogna illudersi su questo, ma l’importante è saper usare gli strumenti adatti a risolverli giorno per giorno, con una pazienza fiduciosa perché riposta nella fedeltà di Dio. Ricorda il documento “La vita fraterna in comunità” che “dal dono della comunione scaturisce il compito della costruzione della fraternità, cioè del diventare fratelli e sorelle in una data comunità dove si è chiamati a vivere assieme. Nell’accettazione ammirata e grata della realtà della comunione divina che viene partecipata a delle povere creature, proviene la convinzione dell’impegno necessario per renderla sempre meglio visibile attraverso la costruzione di comunità “piene di gioia e di Spirito Santo” (At 13,52 )” (n. 11).

    Una comunità capace di questo non può dunque non sperimentare una gioia profonda, che non è da confondersi con la risata sguaiata o con la pungente ironia. Si tratta di una gioia che scaturisce dalla certezza che “il Signore è vicino“: non siamo soli, lui sta sulla barca con noi in mezzo alle onde in tempesta anche quando ci sembra che dorma, e allora nulla può nuocerci se lui è sentito presente: “Io sono in mezzo a voi tutti i giorni” cosicché il cuore rimane stabile e nella pace in ogni situazione: “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (v. 7)

    Infine non scordiamo che “patrimonio” fondamentale d’ogni comunità sono il “deposito della fede” e del “carisma” ricevuti in dono. La premura della comunità deve essere quella di conservare e rafforzare la fede prima dei muri, il dono spirituale del carisma prima che le sue concretizzazioni storiche sempre provvisorie e passibili di cambiamento. Non scordiamoci che il “patrimonio” della fede e della comunità che su di essa si costruisce come casa sulla roccia si sperpera stoltamente quando le energie sono investite, come purtroppo spesso accade, in direzioni sbagliate. E’ al saldo fondamento della fede che occorre ancorare, assicurandolo fortemente il nostro vero “patrimonio”.

    Oratio

    Il salmo dice: “Chi si gloria nei carri e chi nei cavalli, noi siamo forti nel nome del nostro Dio”. Noi rischiamo sempre di gloriarci delle cose sbagliate perché privi di intelligenza spirituale. Donaci o Signore la grazia di poter riconoscere che la nostra gloria e forza sei Tu e la comunità che ci hai dato in dono anche se povera e segnata da tanti limiti e peccati: tu ce l’hai donata perché qui sperimentiamo il dono della tua presenza.

    Ho detto a Dio: fuori di te non ho altro bene”:  donaci di rimanere saldi in questa certezza che apre il cuore alla lode e sempre alla speranza, perché abbiamo sperimentato che “Dio solo basta!”.

    Quando questo non accade ci angustiamo, ci rattristiamo, ci preoccupiamo inutilmente e il cuore non è in pace e non può gustare la gioia. Non accade per il semplice fatto che abbiamo scambiato come ricchezza e patrimonio ciò che in realtà era di scarso o nullo valore, una tremenda svista che ci rende incapaci di scorgere il tesoro prezioso nascosto nel campo e la perla preziosa mischiata a tante altre cose inutili nel baule del mercante.

    E fa’ che ogni giorno con pazienza e tenacia, senza inutili abbagli, cerchiamo solo ciò che è nobile, giusto, puro, amabile, onorato perché riconosciuto come nostra ricchezza e unico nostro bene, solo  e avremo la pace che sorpassa ogni intelligenza.

    Signore Gesù custodisci i nostri cuori e i nostri pensieri nel tuo amore che è autentica e sola ricchezza e sorgente di stabile pace.

    Posted by attilio @ 15:34

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