Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?
Lectio di Lc 12,54-59
di p. Attilio Franco Fabris
“Hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non odono” (Mt 13,15): sono le amare parole di Gesù nei confronti di una generazione incapace di scorgere in lui la novità di Dio che porta a compimento le promesse di Abramo.
Possiamo anche noi avere occhi e non vedere, orecchie e non udire i fatti e le parole con cui Dio continuamente si avvicina a noi e ci parla nelle cose più semplici di ogni giorno, come nei fatti più grandi della storia. Sempre Dio entra nella nostra storia, quella dell’umanità come in quella di ciascuno di noi. Ma noi come i discepoli di Emmaus, chiusi nelle nostre certezze e tristezze, rischiamo di non accorgerci della sua presenza.
Chiediamo anzitutto allo Spirito di aprire “gli occhi del nostro cuore”, di strapparci – lui che è guarigione – quelle scure “cataratte” che persistono in noi impedendoci di vedere i segni di speranza e di vita che lui stesso dissemina lungo la storia. È lui che, al di là dell’avvicendarsi delle vicende umane, tesse la vera trama nascosta del cammino dell’umanità. È lui la vera forza ed energia che tutto muove spingendo la storia, come il vento le vele della nave, verso il Regno.
Sapremo scorgere la dolcezza e la forza della sua azione? Avremo occhi per riconoscerla ed esultare? Avremo cuore, mente, volontà capaci di porsi costantemente in ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7)? Sapremo scorgere gli inviti discreti che egli sussurra alla Sposa affinché si prepari all’incontro con lo Sposo (Ap 22,17)? Non ci scandalizzeremo dinanzi alla sua voce potente e forte che risuona sulla bocca dei suoi scomodi profeti?
“Spirito santo, fammi vedere tutto ciò che desideri farmi vedere, per rendermi partecipe di tutta la luce che abita in Te. Fammi vedere ciò che da solo non riesco a vedere. Fammi vedere ciò che non vorrei vedere, per timore dell’esigenza della luce, per viltà di fronte allo sforzo e al rinnegamento. Fammi vedere ciò che vorrei vedere: la via da seguire e le decisioni difficili da prendersi. Fammi vedere ciò che mi illudo di sapere e che invece non conosco. Fammi vedere ciò che dovrei vedere e che i mie pregiudizi mi impediscono di scoprire:la verità delle mie debolezze e delle mie colpe. Fammi vedere ciò che tu vedi: la bellezza del mio destino al servizio di Dio e dei fratelli, la grandezza dell’universo e l’immensità di Dio”.
Lectio
Il nostro brano si colloca in un capitolo che ha come tema il giudizio finale di Dio sulla storia. Il tempo scorre inesorabile e per l’uomo è questione di vita o di morte (ovvero di salvezza!) decidersi o meno per Dio. Tutto il capitolo si caratterizza perciò su una tonalità di “urgenza” da parte dell’uomo nei confronti del tempo che scorre e nel quale è chiamato a decidersi prima che sia troppo tardi.
In questo tempo che è dato Dio stende la mano all’uomo per facilitargli l’accoglienza del dono della salvezza: offre dei “segni” di cui il primo e fondamentale è Cristo stesso: “Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona” (Lc 11,29).
Se dunque in un primo tempo Gesù sembra rifiutare categoricamente ai farisei la richiesta di offrire ulteriori “segni”, nel nostro brano egli ci ammonisce sul fatto che numerosi segni sono concessi agli occhi di coloro che sanno vedere. A quali “segni” si riferisce Gesù? Non certamente a segni portentosi e straordinari come quelli richiesti, per metterlo alla prova, da “una generazione malvagia“. Gesù invita invece a scorgere i “segni” costituiti dal suo insegnamento e della sue parole per riconoscervi l’appressarsi del Regno di Dio e per il quale ora è necessario deliberarsi.
“Diceva ancora alle folle” (v.54): l’insegnamento è prolungato nel tempo (il verbo è all’imperfetto il che sta a dire l’importanza del messaggio) ed è rivolto a “tutti“, perché a tutti è donata la salvezza e perciò a tutti incombe il dovere di saper leggere il tempo presente (v.56) come il tempo decisivo in cui discernere “ciò che è giusto“(v.57) fare.
L’insegnamento di Gesù si compone di due immagini paraboliche (vv. 54-59).Gesù si serve dapprima dell’immagine di fenomeni meteorologici che tutti sono in grado di interpretare: una nube che proviene da ovest, ossia dal mar Mediterraneo, indica l’approssimarsi delle piogge, mentre un vento dal sud, ovvero dal deserto dell’Arabia, è sicuramente indice di un’ondata di caldo (vv 54-55). Il messaggio è chiaro: dai “segni” meteorologici chiunque sa prevedere il tempo che farà e dunque prepararsi ad agire di conseguenza. Gesù certamente non se la prende con la scienza della previsione del tempo ma pone bene in evidenza la distanza che esiste tra questa capacità di discernere le cose più semplici e quotidiane e l’incapacità di riconoscere i segni di “questo tempo” ovvero il tempo della sua presenza e del suo annuncio carico di significato perché decisivo per la salvezza. “Questo tempo” ha i suoi segni di riconoscimento ma “questa generazione malvagia” non si prende la briga di interpretarli, non è in grado di farlo, o meglio preferisce non volerli riconoscere.
L’appellativo di “ipocriti” (v. 56) viene perciò da Gesù applicato a tutti: nessuno escluso! L’ipocrisia è l’equivalente della cecità spirituale: si ha la possibilità di discernere il tempo decisivo della salvezza (kairos) ma non lo si vuole interpretare: si vuole continuare la solita vita! Si sanno “discernere-giudicare” i fattori meteorologici: ma dinanzi all’importanza decisiva del tempo si preferisce non voler vedere. . L’accusa di ipocrisia è una chiara denuncia: i segni ci sono e sono chiarissimi per chi è disponibile a coglierli (cfr Lc 7,22; 11,20). Il fatto di non riconoscerli non è dato, per Gesù, dalla semplice ignoranza, ma da una coscienza colpevole perché consapevole di tale scelta. Scelta drammatica in quanto con tale atteggiamento l’uomo si preclude l’accoglienza del “kairos”, del tempo favorevole, nel quale è offerta la possibilità di cogliere i segni di Dio e, di conseguenza, convertirsi.
Anche nei confronti di Giovanni il Battista, in carcere, Gesù invierà l’ammonimento a riconoscere tali “segni” (il suo problema era attenderne altri secondo le sue aspettative!). Anche per Giovanni vi era dunque la fatica di accogliere i “segni” di Gesù così diversi dalle sue attese: “Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!) (Lc 7,22s).
Occorre dunque una disponibilità ed una apertura del cuore per accogliere i “segni” che Cristo (e la Chiesa che ne continua l’opera) dissemina lungo l’arco della storia: non sono immediatamente evidenti, sono piccoli quanto “un granello di senape“, sono scandalosi come lo è una croce piantata sul Calvario. Ma è urgente non lasciarseli sfuggire e con essi il dono della salvezza. Nell’insistere su tale atteggiamento Gesù si affida alla capacità di giudizio dell’ascoltatore stesso: non dovrebbe essere la prima preoccupazione di ciascuno salvare la propria vita? Dunque ciascuno dovrebbe giungere a comprendete-discernere “il giusto”: “E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (v.58).
A questo primo insegnamento segue una parabola che ha come scopo il rafforzare ulteriormente il messaggio dell’urgenza nell’accogliere la grazia offerta “qui e ora”. Il dilazionarla potrebbe portare a conseguenze drammatiche (vv 58-59).
L’esempio portato è un litigio tra due persone. Il diverbio sta per essere trascinato in tribunale col rischio del carcere. La prassi giudiziaria descritta (autorità-giudice-ufficiale di servizio) descrive con precisione l’usanza giuridica greco romana. A queste due persone cosa suggerisce il buon senso? Conviene loro mettersi d’accordo prima che sia troppo tardi! Ovvero occorre agire con prontezza. Meglio sistemare prima le cose.
La parabola si conclude con una pesante minaccia (v. 59): se non si troverà un accordo l’accusato non uscirà dal carcere finché non avrà restituito fino all’ultimo “lepton” (la più piccola moneta di rame). L’esempio ha come obiettivo quello di far comprendere l’importanza del kairos, del tempo presente: “la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco” (Lc 3,9). Fuori parabola: l’uomo è chiamato a prendere “ora” la decisione fondamentale nei confronti di Dio prima di presentarsi in giudizio davanti a lui.
L’indifferenza e l’ostilità, nei confronti di Gesù, rischiano di trasformare il lieto annuncio del Regno in motivo di giudizio: i “segni” sono dati, ora bisogna decidersi per Dio, per riconciliarsi con lui.
Collactio
“Per continuare l’opera di Cristo è dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce dell’evangelo“: così si esprimeva con una terminologia relativamente nuova, che avrebbe poi trovato ampio spazio di approfondimento teologico, il documento conciliare Gaudium et Spes (n. 11) che a più riprese riprenderà il tema della necessità (non facoltatività!) della lettura dei “segni dei tempi“, già ampiamente affrontata d’altronde nel magistero di Paolo VI (Cfr Enc. “Ecclesiam suam”).
Da dove scaturisce il “dovere permanente” da parte della comunità cristiana di intraprendere questo costante sforzo di lettura dei “segni dei tempi“? Dal semplice e fondamentale fatto che la fede biblica è anzitutto non un assenso a verità astratte e astoriche ma assenso ad eventi storici ben precisi e puntuali nei quali Dio si è fatto presente e ha agito, e si fa presente e continuamente agisce, nella storia al fine di offrire salvezza all’uomo. Dio è entrato definitivamente nella nostra storia partendo da Abramo per giungere a Cristo e continuare la sua opera attraverso la Chiesa. Perciò nell’orizzonte della fede biblica la salvezza si presenta sempre come un “fatto” che, presentandosi sotto l’aspetto di “segno” (il che garantisce la libertà umana nell’accoglierlo o meno), va accolto e letto alla luce della fede. Cosicché la verità non deve essere più ricercata al di fuori dello spazio e del tempo, in una dimensione ideale più legata alla filosofia che alla fede, ma va riconosciuta negli eventi storici costituiti da parole, persone, accadimenti che non sono per il credente un ostacolo alla conoscenza della verità stessa ma luogo della sua rivelazione. In tal senso tutta la storia è divenuta il “luogo teologico” in cui è dato all’uomo di aprirsi a quei “segni” attraverso i quali Dio lo vuole incontrare.
Afferma ancora un testo conciliare della Gaudium et Spes: “Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle esigenze e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio” (n. 11).
Questo “discernere gli avvenimenti” non è automatico né tanto meno spontaneo: esso è reso possibile solo all’interno di un orizzonte di comprensione e di esperienza legato alla fede, perché solo attraverso tale sguardo è dato di riconoscere l’azione dello Spirito di Dio nella storia.
Ma occorre riconoscere la fatica che incontriamo a fare tutto ciò: essa deriva da una fede scarsa e molto debole. Si possiede un grande discernimento nelle cose materiali e ci si affanna spesso per operarlo, ma non si possiede la stessa sollecitudine e preoccupazione per quanto riguarda le cose spirituali, per quelle eterne che decidono il nostro ultimo destino. Non si ha cura di voler riconoscere i “segni” attraverso i quali Dio ci parla: “Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”
L’uomo carnale direbbe Paolo non comprende ciò che è proprio dello Spirito; è “sapiente” nelle cose transitorie e fugaci ma stolto in quelle che riguardano il suo destino ultimo: “L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14s).
L’ “uomo carnale” vive un rifiuto, con una conseguente incapacità di aprire gli occhi sul significato più profondo e sul senso ultimo delle cose e degli avvenimenti. Si tratta di un rifiuto che può nascere da diversi atteggiamenti. È possibile infatti che il “segno” venga rifiutato in nome di uno “status quo” che non desidera e non aspira ad altro: la preoccupazione sottostante è che le cose rimangano le stesse perché il cambiamento fa paura. Vi può essere un rifiuto del “segno” motivato da una negazione del presente: le cose – per costui – non potranno mai cambiare, anzi si andrà di male in peggio! Non vi è in questo caso la minima apertura alla possibilità che il “segno” stia a significare un germe di possibile cambiamento.
Solo l’uomo “spirituale” è abilitato alla lettura dei “segni dei tempi”. Egli possiede il dono di guardare la realtà con occhi diversi perché capaci di una visione che va “oltre”: sa scorgere nei “segni” di cui è cosparsa la storia di un qualcosa che non è ancora pienamente presente, ma che già si offre e si sviluppa nell’umiltà e nel nascondimento “del germoglio in terra arida” (cfr Is 61). L'”uomo spirituale giudica ogni cosa” ovvero è in grado di relativizzare il presente, senza idolatrarlo né condannarlo, vivendo la certa speranza che la storia, pur nelle sue contraddizioni, è incamminata verso il Regno perché iscritta in un disegno che è divino e non umano. Per tale motivo solo lui possiede la capacità di una “lettura profetica” del reale.
Ma quali sono i criteri con cui accostarsi alla storia al fine di cogliere i “segni” della presenza e dell’agire di Dio? Ci viene in aiuto un fondamentale testo tratto ancora dalla costituzione dogmatica “Gaudium et Spes” dove si dice che “è dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito santo, di ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, affinché la verità rivelata possa essere sempre più profondamente intesa, meglio capita e presentata in una maniera più adatta” (n. 44). È un testo notevole in quanto ci offre chiaramente i criteri, o meglio un itinerario di discernimento dei “segni dei tempi”: “ascoltare attentamente, capire e interpretare…saper giudicare“.
Anzitutto ci viene chiesto di saper “ascoltare attentamente“. Ciò significa accogliere i fatti in se stessi, nelle loro manifestazioni, cause, dimensioni, conseguenze, mettendo in atto tutti quegli strumenti umani adatti a leggerli il più oggettivamente possibile (quali ad esempio la sociologia, la psicologia, le scienze…).. Il fine è saper guardare le cose così come esse sono e non come vorremmo fossero con la conseguenza di distorcerle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente”. La distorsione dei fatti succede quando prevarica l’ideologia (non solo politica ma anche religiosa) che pretende di piegare la realtà al fine di farla rientrare nei propri ristretti schemi mentali. L’ascolto attento esige umiltà, empatia, l’eliminazione di qualsiasi “pre-giudizio”.
Un secondo passo sarà di “capire ed interpretare“. Non ci è chiesto di giudicare immediatamente le cose, ma di sforzarci il più possibile di “comprenderle” ovvero di saperle leggere in profondità (è il dono dell’intelletto – intus-legere – da chiedere allo Spirito!) nelle loro radici più profonde e nelle loro conseguenze: “subito dite: Viene la pioggia”. Mancasse questa comprensione ed interpretazione (che non equivale ad approvazione) non sarebbe possibile una lettura del fatto come “segno”. Perché la realtà rivesta la valenza di “segno” è fondamentale che essa ci tocchi in profondità, che ci lasciamo interrogare da essa, che ci trovi aperti ad essa. Non può far questo il pessimista né tanto meno il diffidente o colui che crede di aver la verità in tasca.
Solo in un terzo momento si potrà giungere ad un “discernimento” (krìnein: separare in due; in riferimento alla farina separata dalla semola per mezzo dello staccio) ovvero ad un “giudizio“, elaborato non secondo i nostri schemi di valutazione ma attraverso la luce della Parola di Dio. Occorre tener presente che i fatti ci si presentano sempre in forma ambigua (ovvero possono essere letti da tanti punti di vista), ma il credente sa che la Parola è il setaccio indispensabile per “vagliare” ciò che è buono da ciò che non lo è.
Si tratta di un “discernimento-giudizio” compiuto alla luce della Parola ascoltata e letta all’interno della comunità ecclesiale sorretta dal magistero e dal carisma profetico: è nella comunità che Dio parla al fine di indicarle il cammino da seguire. Disponibilità, vigilanza, prontezza da parte di tutti sono di doni da chiedere affinché tutto questo possa attuarsi continuamente, senza stancarsi.
È un lavoro urgente che non è possibile dilazionare: il “segno” ci è dato “qui e ora”, e se non viene riconosciuto e accolto esso scorre via, dono di grazia inutilizzato, di cui dovremo “render conto fino all’ultimo spicciolo“, “Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!“(2Cor 6,2).
Oratio
La nostra esistenza, Signore, è segnata dalla continua necessità di operare scelte e giungere a tante decisioni piccole e grandi. A volte è semplice, altre invece estremamente difficile: non sappiamo vedere ciò che è meglio per noi e per gli altri. L’incertezza si attanaglia, ci blocca. Abbiamo paura di sbagliare.
Ma tu ci hai donato la tua Parola. Ti ringraziamo per il dono della sua luce che illumina i nostri passi e rischiara le nostre menti appesantite. Infatti “quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente dai molti pensieri. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri,scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo? Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall’alto?” (Sap 9,13-17)
Fa’ che sappiamo con umiltà metterci alla scuola dell’ascolto perché solo in virtù della Parola tu ci indicherai la strada da intraprendere fiduciosi nella tua promessa: sapremo “rintracciare le cose del cielo“, scopriremo “ciò che è giusto” per noi!
Allora avremo occhi per vedere e orecchie per ascoltare, gli innumerevoli segni di cui cospargi il nostro cammino: fatti, parole, incontri, volti, gioie e sofferenze. Tutto diverrà, nella fede rischiarata dalla Parola, segno capace di indirizzarci a te e alla verità di noi stessi, non rinserrandoci nelle nostre sicurezze e nei nostri poveri pregiudizi. Vedremo i tuoi segni, tanto piccoli e semplici come granelli di senape, con occhi limpidi capaci di stupore, come quelli dei bambini. Perché solo a questi è dato di scorgere la bellezza del mistero: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25).
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