• 01 Feb

    di p. Attilio F. Fabris 

     

     

    Quando si parla di carità si è sempre, comunque, a priori, d’accordo!

    Ma in concreto ci accorgiamo di quanto essa avrebbe bisogno di verifiche e di purificazioni nella nostra vita: troppo spesso facciamo passare sotto il nome di carità ciò che non lo è (simpatie, bisogni, apostolato, servizi vari interessati….).

    Forse potremmo accorgerci che in tanta pseudo-carità siamo noi stessi che ricerchiamo e non l’altro.

     Da un altro la spesso si presenta un conflitto: devo dare la precedenza alla preghiera o alla carità?

    La scrittura domanda una preghiera incessante, continua. Ma ci è stato anche detto che il grande comandamento è la carità. Perché allora tanto tempo a pregare quando c’è tanto da fare? Forse che il lavoro non è già preghiera?

     

    Dobbiamo partire da un’umile constatazione: è nella nostra esperienza di ogni giorno che l’amore non è facile. Esso esige da noi un superamento non quantitativo ma qualitativo. Difatti vi è un’originalità cristiana nella carità di cui si tiene poco conto.

    Se prendiamo in considerazione la parabola del buon samaritano (Lc), ci viene detto che carità è rendersi prossimo. Per il N.T. se qualcuno non ti è prossimo, tocca a te farti prossimo a lui, cercando motivazioni profonde.

    Non si tratta affatto di solo “non mancare nella carità”: “Non ho fatto del male a nessuno!”. Al cristiano viene richiesto uno spostamento non indifferente: mettere l’altro al primo posto, davanti a me, con le sue sofferenze prima delle mie.

     

    Seconda legge della carità è: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34).

    Il nostro amore sarà cristiano nella misura in cui si conforma a quello di Cristo, sarà quello di Cristo. Questo suo amore è fatto di puro dono, offerta di sé, senza attesa di contraccambio; esso non condanna, non giudica.

    “E’ lui che ci ha amati per primo” (1 GV 4,19) “Avendo amato i suoi sino alla fine” (Gv 13,1).

    L’amore di Gesù è capace di far suscitare in chiunque quella parte di bontà, di speranza che erano nascoste. Il suo amore così ci rivela l’amore del Padre che dona e suscita la vita. Chi ama con l’amore di Gesù condivide la vita di Dio.

     Cristo si dona e lo annichilendosi, facendosi più piccolo di noi (povero, mendicante). Accetta di aver bisogno, non per strategia, ma per risvegliare in noi ciò che di più vero, buono e bello è nel profondo di noi stessi.

    “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha donato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16)

    “Non c’è amore più grande di questo” (Gv 15,13).

     

    Tutto questo ci appare impossibile! Ci viene forse chiesto troppo. Richieste divine non umane? Tra l’amore umano e quello che ci propone Gesù ci appare un salto qualitativo troppo esigente:

    “Vi do un comandamento nuovo” (Gv).

     

    Scriveva s. Teresa del B.G.:

    “E’ solo l’amore che conta, ma per amare come tu mi ami mi occorre ricevere in prestito il tuo stesso amore, solo allora potrò riposarmi”

    La carità è dono che ci viene dall’alto. Essa, nella novità del comandamento, ci chiede di amare dello stesso amore della Trinità. La novità del N.T. non è nel fatto che Dio comandi d’amare (questo c’è già nel V.T.), ma che egli domandi d’amare con lo stesso amore con cui si ama e ama tutto ciò che egli ha creato.

     

    Tale è la ragione della misteriosa equivalenza, stabilita da Gesù tra ciò che è fatto agli “altri”, ai “piccoli” e ciò che è fatto a Lui stesso. Come per una misteriosa reciprocità di rapporti Dio attenda che diveniamo testimoni e delegati della sua stessa paternità.

    E’ qui che si coniugano inscindibilmente preghiera e carità, ben lontani dall’opporsi esse si compenetrano, interagiscono, si sostengono.

    La carità è impossibile senza preghiera e la preghiera è impossibile senza carità:

    “Preghiera e vita cristiana sono inseparabili, perché si tratta del medesimo amore e della medesima abnegazione, che scaturisce dall’amore. La medesima conformità filiale e piena d’amore al Disegno d’amore del Padre. La medesima unione trasformante nello Spirito Santo, che sempre più ci configura a Cristo Gesù. Il medesimo amore per tutti gli uomini, quell’amore con cui Gesù ci ha amati.

    “Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo concederà. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,16s).

    “Prega incessantemente colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera. Soltanto così noi possiamo ritenere realizzabile il principio di pregare incessantemente” (Origine)” (CCC 2745).

    Come amare il fratello “come Dio lo ama” se non conosco questo amore? Ciò che implica? Per amare realmente devo scoprire come io stesso sono amato, ora e in questo momento e luogo. Questo amore mi è rivelato contemplando l’amore di Cristo per me, un amore crocifisso.

    La preghiera mi mantiene nella costante memoria di ciò che Dio ha fatto e del prezzo che ha pagato amandomi. Siamo chiamati a far continua memoria del suo amore.

     

    “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2). Non bisogna illudersi: avere pazienza, dolcezza, desiderio d’accoglienza e di ascolto, condizioni tutte per una autentica carità, è impossibile se, giorno dopo giorno, noi non facciamo la scoperta nella preghiera della pazienza, longanimità, tenerezza di Dio nei nostri riguardi.

    La carità, la comunione, non solo nella Chiesa, ma nell’intera umanità, è un mistero: è oggetto di fede. Non è infatti sull’immagine di qualsiasi sistema o comunità che l’umanità deve unirsi: ma ad immagine del legame che unisce il Padre e il Figlio, nello Spirito. E’ dal mistero di Dio che procede la carità. E’ lo Spirito che ci introduce a questo mistero d’amore.

    Io amo il mio prossimo nella sua relazione costitutiva che l’unisce al suo e mio Dio, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono. La preghiera  fa sì che io possa porre sempre la mia carità sotto il sigillo dello Spirito.

     

    La preghiera ha la sua verifica nella carità, senza questa essa potrebbe inquinarsi troppo sino a divenire menzogna:

    “La preghiera è inseparabile dall’amore, a tal punto che le nostre preghiere saranno in certo modo la misura del nostro amore” (C. De Foucauld).

    Pregare è essere in relazione con la volontà di Dio, e questa è: “Amatevi gli uni gli altri, da questo conosceranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35).

     

    Preghiera o carità? La questione è falsa. La preghiera è dire col cuore: Sia fatta la tua volontà. Compiere nel quotidiano questa volontà di amore, perdono, misericordia.

  • 01 Feb

    di p. Attilio F. Fabris 

     

     

    Gesù agli apostoli ormai disperati per il mare in tempesta che sta affondando la loro barca dice: “Uomini di poca fede, perché dubitate?”.

    La risposta alle nostre invocazioni è certa: “qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà”. La semente anche tra i sassi e i rovi troverà un pezzetto di buona terra. Il nemico potrà seminare zizzania di notte, ma non potrà impedire il raccolto. Una tempesta può sconvolgere il mare, ma la barca arriverà al porto.

    Dio ci sorprende per la sua sicurezza, e Gesù insiste sulla certezza della risposta divina.

    Ciò cosa vuol dire se non che attraverso la nostra preghiera entriamo in possesso dell’onnipotenza divina?

    “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Gal)

    Non si tratta di una promessa con buone possibilità di realizzazione, ma di una promessa certa che non può non realizzarsi: l’efficacia della preghiera infatti non dipende anzitutto da noi, ma riposa sulla fedeltà e amore di Dio:

    “non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia” (Rm 9,16).

    Pregando realmente noi penetriamo nel disegno di Dio, nei suoi pensieri e nelle sue vie, gli ricordiamo il suo “patto santo”. Facciamo esperienza che non siamo noi che attendiamo Dio, ma è lui che mi attende:

    “La preghiera non tende ad avvicinare noi a Dio: “Dio è più intimo di noi stessi” (s. Agostino). La preghiera è un avvicinamento di noi a Dio, prendendo coscienza della sua vicinanza” (O. Clement).

     

    Nella preghiera è sempre Dio che mi precede, dandomi occasione di aprirmi a lui. E’ questa speranza viva: quella che riposa in Dio.

    “Dio vivo e vero chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera. Questo passo d’amore del Dio fedele viene sempre per primo nella preghiera; il passo dell’uomo è sempre una risposta. Man mano che Dio si rivela e rivela l’uomo a se stesso la preghiera appare come un appello reciproco, un evento di Alleanza. Attraverso parole e atti, questo evento impegna il cuore” (CCC 2567).

    Il movimento autenticamente cristiano della speranza è: mi abbandono a Dio, affinché egli si dia a me. Dunque il bene sperato è Lui stesso. E’ questa l’Alleanza:

    “L’orazione è un rapporto di alleanza concluso da Dio nella profondità del nostro essere” (CCC 2713)

    “La preghiera cristiana è una relazione di Alleanza tra Dio e l’uomo in Cristo. E’ azione di Dio e dell’uomo; sgorga dallo Spirito santo e da noi, interamente rivolta al Padre in unione con la volontà umana del Figlio di Dio fatto uomo” (CCC 2564).

    Dio mi offre la sua Alleanza per portarmi a poco a poco al desiderio della visione del regno.

    Dio promette sì anzitutto la ricompensa: “Non temere, la tua ricompensa sarà grande” (Gn 15,1). Ma non si scoprirà che più tardi che: “IO sarò la tua ricompensa”; “Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, la mia eredità è magnifica” (Sal 39).

    Allora limite, difetto della preghiera sarà insistere nel domandare a Dio solo dei beni limitati. La speranza che attende il miracolo non è virtuosa se non nella misura in cui ha di mira la meta finale ed essenziale, l’unica che rimane in eterno.

    Se Dio non risponde subito alle nostre richieste immediate è per educarci ad una speranza più grande, per aprirci al suo mistero:

    “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri” (Gc 4,2-3). Se noi chiediamo con un cuore diviso, adultero, Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita… Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi: “Non rammaricarti se non ricevi subito da Dio ciò che gli chiedi; egli vuole beneficiarti molto di più, per la tua perseveranza nel rimanere con lui nella preghiera” (Evagrio P.). “Egli vuole che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, in modo che diventiamo capaci di ricevere ciò che egli è pronto a darci” (s. Agostino”” (CCC 2737).

     

    Potremmo quasi affermare: più la risposta di Dio è oscura, più essa è certa; perché l’efficacia della preghiera è trascendente. Solo al termine della pesca o della semina, o della mietitura avremo modo di constatare la fedeltà di Dio:

    “Che egli dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce, come neanche lui lo sa” (Mc 4,27).

    Durante la nostra esistenza siamo come delle sentinelle che attendono i primi barlumi dell’aurora:

    “Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno. Voi che rammentate le promesse al Signore non prendetevi mai riposo e neppure a lui date riposo” (Is 62,6s).

    Come ogni sentinella possiamo vedere sino ad un certo punto, non più in là. Vediamo poco, intravediamo, intuiamo “come in uno specchio”. Ma con una certezza nel cuore: ciò che sarà lo sarà in modo infinitamente più grande di quando riusciamo ora a sperare.

    “A colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi” (Ef 3,20).

    Il figliol prodigo al suo ritorno è esaudito ben al di là delle sue attese. La manna, la pesca miracolosa, la moltiplicazione dei pani: sempre Dio risponde “al di là”. Egli sconcerta i nostri desideri.

     

    Da quanto detto si potrebbe tirare una conseguenza errata: dobbiamo allora disinteressarci, rinunciare al nostro impegno?

    Se l’autentica preghiera ci rivela il reale motivo della nostra speranza, e se la preghiera ci conduce a scoprire che è Dio che vuole essere efficace in noi, allora comprendiamo come essa salvaguardi nel medesimo tempo il radicarsi umano del nostro desiderio e della nostra speranza, perché essa sola lo rende possibile, reale. Infatti essa non conserva soltanto in noi Dio, ma conserva altresì noi stessi.

    E’ questo uno degli effetti più importanti della preghiera: rendere reale, vero, il desiderio che noi esprimiamo tramite essa.

    Ma non soltanto essa rende reale il desiderio, ma è in grado di modificarlo, di renderlo più autentico: “Sono sbalordito di come le mie idee cambiano quando le metto dinanzi a Dio” (Bernanos).:

    “La trasformazione del cuore che prega è la prima risposta alla nostra domanda” (CCC 2739).

    Unendoci alla preghiera di Gesù: il nostro desiderio, le nostre attese vengono non soppresse ma purificate:

    “La preghiera di Gesù fa della preghiera cristiana una domanda efficace. Egli ne è il modello, egli prega in noi e con noi. Poiché il cuore del Figlio non cerca se non ciò che piace al Padre, come il cuore dei figli di adozione potrebbe attaccarsi ai doni piuttosto che al Donatore?

    Gesù prega anche per noi, al nostro posto e in nostro favore… Se la nostra preghiera è risolutamente unita a quella di Gesù, nella confidenza e nell’audacia filiale, noi otteniamo tutto ciò che chiediamo nel suo Nome; ben più di questa o quella cosa: lo Spirito santo, che comprende tutti i doni” (CCC 2740-1).

    Il ritardo di Dio, il suo silenzio non è dunque da leggersi come un metterci alla prova, ma come spinta affinché il nostro desiderio si affini, si identifichi sempre più con quello di Cristo.

    E’ questo un sommo rispetto di Dio per la nostra libertà: Dio non vuole la nostra gioia senza la nostra collaborazione, egli vuol farla scaturire dall’interno di noi stessi:

    “Siamo convinti che “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,26)? Chiediamo a Dio “i beni convenienti?” Il Padre nostro sa di quali cose abbiamo bisogno, prima che gliele chiediamo, ma aspetta la nostra domanda perché la dignità dei suoi figli sta nella loro libertà. Pertanto è necessario pregare con il suo Spirito di libertà, per poter veramente conoscere il suo desiderio” (CCC 2736).

    Dio non può tener conto di questo desiderio che Egli stesso ha posto in noi al fine d’essere complice del suo dono.

     

     

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