Messaggio centrale
Il Signore risorto sorregge saldamente la Chiesa e la chiama a discernere gli atteggiamenti che corrispondono alla sua vocazione.
Contesto
I capitoli 2 e 3 costituiscono la prima parte del libro dell’Apocalisse.
Essi contengono sette lettere scritte per altrettante Chiese dell’Asia Minore: Efeso, Smirne, Pèrgamo, Tiàtira, Sardi, Filadèlfla, Laodicèa.
Il numero simbolico delle lettere (sette), unicamente alla specificità e alla determinazione propria del loro messaggio per ciascun destinatario, richiamano sia la totalità che la concretezza: esse costituiscono nel loro insieme un messaggio che è per tutta la Chiesa, ma che ciascuna comunità deve calare nel concreto della sua storia. Sono un invito ad operare un discernimento sul proprio vissuto, lasciandosi illuminare da Gesù Cristo, l’unico Signore della Chiesa.
Le sette lettere sono precedute dalla visione che Giovanni ha del Signore Gesù, il Vivente glorificato (Ap 1,9-20). E’ il Signore che chiede a Giovanni di scrivere tutto ciò che vedrà e di inviarlo alle sette Chiese (Ap 1,11.19; cfr. anche 1,4-8).
L’intera Apocalisse si presenta così come una grande lettera.
Il dialogo che Giovanni instaura con le Chiese ha un valore ministeriale: è il servizio del testimone, tramite il quale il Signore stesso instaura il dialogo di salvezza con le comunità dei suoi servi.
Struttura del testo
Ognuna delle sette lettere presenta uno schema costante, composto di sei elementi:
a. l’indirizzo alla Chiesa,
b. l’autopresentazione del Signore,
c. il discernimento sulla vita della Chiesa,
d. l’esortazione conseguente,
e. l’invito ad ascoltare lo Spirito,
f. la promessa di un dono in prospettiva escatologica.
Spiegazione
All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi:
Efeso, una importante città dell’antichità, era situata sulla costa occidentale dell’Asia Minore ed era capitale della provincia proconsolare dell’Asia. Per l’importanza del suo porto, fungeva da naturale punto di incontro tra occidente e oriente. Per questo stesso motivo si era aperta anche al sincretismo religioso ed era divenuta un centro del culto imperiale. La Chiesa di Efeso, sorta dalla predicazione di Paolo (cfr. At 19,1-10), svolse nei primi secoli un compito di crescente importanza nell’irradiazione della fede cristiana in tutta la provincia.
Come in tutte le altre lettere, nell’indirizzo iniziale si nomina il destinatario con la formula «all’angelo della Chiesa scrivi». Con questa espressione si chiama in causa ciascuna Chiesa, riconoscendola però nella sua dimensione profonda: è la Chiesa in quanto è suscitata e sostenuta continuamente dall’azione di Dio e, per questo, porta in sé un’apertura a Dio. La Chiesa è interpellata dunque secondo la sua vocazione, secondo le possibilità poste in essa da Dio.
Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro.
La formula di autopresentazione, che in ciascuna lettera riprende temi già espressi globalmente nella visione iniziale (Ap 1 1-20), invita a riscoprire l’identità del Signore. Qui si mettono in risalto due aspetti: egli tiene nella destra le sette stelle e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. Le due immagini hanno un chiaro riferimento ecelesiologico, esplicitato dal Signore stesso: «Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro, è questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese» (Ap 1,20). Con queste due immagini, quindi, il Signore si presenta come Colui che è in grado di dare saldezza alla Chiesa, ne costituisce il punto di riferimento sicuro, e al tempo stesso come Colui che condivide il cammino della Chiesa, non la sottrae né la estranea alla storia.
Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo amore di prima.
In questi versetti si presenta il discernimento del Signore sulla vita della Chiesa.
E’ introdotto dall’affermazione della presenza pienamente consapevole del Signore alla vita della sua Chiesa («conosco»). Questo porta in luce aspetti positivi e negativi. In positivo, si riconosce la vita della comunità nel trinomio «opere, fatica, perseveranza»: tre termini che si spiegano e si arricchiscono a vicenda. Descrivono una fede operosa, che sopporta la fatica derivante dalla non facile accoglienza del messaggio cristiano e che matura nell’atteggiamento interiore della perseveranza, di un operare che scaturisce dalla fedeltà al Signore.
In negativo, viene denunciato un rischio mortale che sta per colpire la Chiesa: la carità, che ne è il cuore, rischia di perdere la sua ispirazione originaria, quella che scaturisce dal Signore. L’«amore di prima» (v. 4) indica l’amore secondo la sua origine, secondo la fonte da cui scaturisce e che gli fa da norma. E’ appunto l’amore che viene alla Chiesa dalla Pasqua del Signore: egli infatti è «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» (Ap 1,5). L’amore rischia di raccorciarsi su criteri limitati e deboli, estranei al vangelo, perdendo totalità e freschezza.
Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto. Tuttavia hai questo di buono: tu detesti le opere dei Nicolaìti, che anch’io detesto.
L’esortazione, attraverso i tre verbi «ricorda, convertiti, compi le opere di prima», propone un percorso globale di conversione, di ricentratura attorno a ciò che è essenziale.
Questo percorso si nutre della memoria di ciò che sta all’origine della vita cristiana e sfocia nella rinnovata capacità di compiere opere secondo la qualità originaria dell’amore. Si tratta di recuperare la buona memoria della propria vita, le ragioni profonde che hanno determinato l’adesione di fede al vangelo, di non vanificare l’orientamento, le opportunità di vita che il vangelo offre e di assumerlo come regola del proprio agire.
La Chiesa non deve omologarsi al mondo né appiattirsi sul proprio livello (e sui propri limiti). Il suo riferimento costitutivo è il Signore, che è continuamente presente in mezzo ad essa e le rende sempre possibile camminare nella luce della Pasqua. La rinuncia a questo slancio della fede non mette in gioco qualcosa di marginale, ma l’identità stessa della Chiesa, la sua posizione rispetto a Dio: «toglierò il tuo candelabro dal suo posto».
Rimane tuttavia un elemento di pregio da sottolineare: questa Chiesa non si è piegata ai comportamenti scorretti dei nicolaìti. Si tratta probabilmente di un gruppo di credenti che si erano avvicinati a un’eresia di tipo gnostico: non accordando alcun valore positivo alla realtà materiale e corporea della vita dell’uomo, potevano ritenersi esonerati da un effettivo impegno pratico nella carità e potevano sentirsi liberi di partecipare alle pratiche dei culti pagani (a loro viene rimproverato di mangiare le carni immolate agli idoli: cfr. Ap 2,14.20). Ciò fa riferimento a una scorretta comprensione dell’incarnazione di Gesù (il «docetismo», per il quale la carne assunta dal Verbo era solo apparenza). Viene messa in risalto quindi la fedeltà della Chiesa di Efeso, che può far leva sulla sua retta fede, su una fede che non adatta Gesù Cristo alle tendenze correnti e neppure lo riduce a propria misura.
Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese
Questo invito ad ascoltare ciò che lo Spirito suggerisce si ripete in tutte le lettere. La possibilità di riscoprire il legame originario della Chiesa con Cristo e di sentirsi chiamati a rivitalizzarlo è frutto e dono dello Spirito. Egli mostra alla comunità ecclesiale l’oggi della parola di Dio che è Cristo e ne fa affiorare la fecondità; fa in modo che il messaggio del Signore non ci rimanga esterno ed estraneo, ma pervada dall’interno lo spazio effettivo di esercizio della nostra libertà. Occorre imparare ad ascoltare la sua voce, che fa risuonare e attualizza la parola evangelica attraverso testimoni e profeti, tramite l’appello interiore e la disponibilità all’ascolto.
Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.
La promessa escatologica è per il «vincitore», per chi non si lascia vincere dalla fatica della prova, per chi non accetta di essere appiattito e omologato all’ambiente, per chi non allontana il suo amore dalla fonte originaria che lo sostiene. I vincitori sono tali perché sono associati alla vittoria di Cristo con la loro testimonianza (cfr. Ap 2,26; 3,21; 12,1 1). A loro è aperto l’accesso alla pienezza della vita, in Cristo. L’«albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» rinvia a Gen 2,9 e ritorna in Ap 22,2 ed esprime il pieno accesso ai beni della vita, desiderati e cercati sulla base delle promesse di Dio. Nella comunione con il Signore, vincitore della morte, tale accesso sarà permanente e totale. Ma si può pensare che già ora il fedele, nella misura in cui nella sua vita partecipa alla vittoria dell’Agnello immolato, sperimenti questa piena familiarità con Dio, che diventa visibile nella libertà e nella forza che sostiene la sua vita.
Significati per la nostra vita
Il messaggio della lettera ridesta anzitutto nella comunità ecclesiale la coscienza di ciò che il Signore Gesù è per la Chiesa.
Il modo di presentarsi del Signore rimotiva la fiducia piena in lui: la Chiesa, pur nelle difficoltà e nella fatica di vivere la sua missione, è tenuta saldamente dalla destra del Signore. Talora la luminosità del messaggio cristiano rischia di venire oscurata nella Chiesa anche dalla sfiducia di fronte alle difficoltà, dai limiti che si riscontrano in essa, dalla sensazione di essere poco significativi per il nostro mondo.
Il Signore si presenta alla nostra fede come il punto di riferimento incrollabile della Chiesa, Colui dalle cui mani non può essere sottratta la comunità dei suoi fedeli.
Egli non è distratto rispetto al nostro vivere: è in mezzo a noi (cammina in mezzo ai sette candelabri), conosce le nostre opere e ne garantisce la rilevanza decisiva in ordine alla salvezza (è il tema della promessa di vita per il vincitore).
Questo non giustifica il disimpegno o la facile illusione di un’assenza di fatica. Piuttosto diventa motivo di fiducia e di impegno nell’offrire una gioiosa testimonianza di vita, propria di chi ripone la sua fiducia unicamente nel Signore e gode solamente di poter essere fedele a lui nella propria vita.
Lo schema della lettera, con la concatenazione dei suoi elementi, esprime in maniera chiara anche un percorso di discernimento comunitario che viene sollecitato dalla parola del Signore. Si tratta di un cammino che parte dalla presa di coscienza di sé, della propria situazione, sulla base della propria vocazione. Se da una parte è il Signore che fa nascere la Chiesa ed è in lui che essa trova saldezza, dall’altra l’adesione di fede a Cristo apre alla comunità spazi sempre nuovi di testimonianza del suo Vangelo. La memoria di ciò che sta a fondamento della Chiesa diventa suscitatrice di un concreto stile cristiano di vita e la spinge a recuperare le potenzialità che il Signore ha posto in lei.
Il riferimento continuo e normativo al Signore della Pasqua, quindi, non è solo criterio di verifica del proprio comportamento, ma anche garanzia di libertà rispetto a tutti quei modelli di vita che intendono addomesticare o appiattire la comunità ecclesiale su criteri di vita lontani dal Vangelo.
Attraverso il discernimento, la Chiesa è chiamata a ricentrarsi su Cristo, a custodire il legame originario e permanente con il Signore. Allentare questo legame significa indebolire la propria identità, perdere l’ispirazione autentica del proprio agire, ricercare altre motivazioni che orientano e giustificano il proprio impegno.
Il rischio che questa lettera segnala e da cui deve guardarsi ogni comunità è quello di abbandonare «l’amore di prima». Non è un’attenzione che proviene da un atteggiamento nostalgico, né deriva dalla semplice constatazione del venir meno dell’entusiasmo iniziale. Il «primo amore», quello dell’inizio, è il cuore pulsante della vita ecclesiale: è l’amore di Cristo che trapassa nei cristiani e li rende capaci di dare la «testimonianza del loro martirio» (Ap 12,11). La vita quotidiana dei cristiani è il luogo in cui questo amore si incarna, nell’infinita varietà delle situazioni, ma può essere anche il luogo in cui questo amore viene progressivamente rinchiuso in confini stretti, diventando meno libero e gratuito, non più aperto incondizionatamente agli altri, sempre più ripiegato su di sé e incapace di essere segno dell’amore di Cristo.
Si tratta allora di verificare la qualità «cristiana» dei nostri atteggiamenti e comportamenti, l’ispirazione «evangelica» del modo di investire le nostre energie personali e materiali.
Il dialogo che il Signore intrattiene con la sua Chiesa è anche fonte di incoraggiamento a una perseveranza quotidiana nella fedeltà al Vangelo. Non sono sterili la fatica e la perseveranza della comunità di Efeso e la sua ferma adesione al dato della fede in Cristo. Ne consegue come frutto, non espropriabile da nessuno, l’autenticità di vita, la forza per non soccombere nelle difficoltà, la gioia di gustare il senso della propria vita quando prende la forma dell’amore come sgorga da Cristo. In fondo, è l’esperienza della fedeltà di Dio che dà saldezza e consistenza di vita a chi gli si affida.
A confronto con questa esperienza si rende evidente la distanza di chi si pone dentro la comunità cristiana con uno stile e una proposta di vita che si discosta dal Vangelo (la lettera parla di «quelli che si dicono apostoli e non lo sono»). La risorsa del Vangelo, cui attingere continuamente, e la disponibilità della propria vita, da alimentare ogni giorno, introducono nell’esperienza della pienezza della vita. Se lo Spirito parla alle Chiese attraverso queste testimonianze, allora è possibile anche sostenersi e incoraggiarsi a vicenda proprio riconoscendo con gratitudine il cammino di conversione e i frutti di vita che lo Spirito stesso suscita nel cuore dei credenti.
Preghiera finale
Cristo, che costruisci la Chiesa, non per la divisione, ma per l’unità,
non per l’orgoglio, ma per l’umiltà, sii benedetto,
quando capovolgi i miei progetti per farmi scoprire la volontà del Padre.
Sii benedetto, quando scruti nel mio cuore,
nei momenti in cui il tuo sguardo lo ferisce.
Sii benedetto nell’immutabilità del tuo amore,
nel quale trovo la forza per portare la mia croce,
nel quale trovo il coraggio di seguirti. o Gesù,
beatitudine e tenerezza di Dio, per me e per tutti,
presente oggi, domani e nei secoli: sii benedetto. (Pierre Griolet)
Una testimonianza…
«Da quando ho posto davanti a me la parola di Dio come termine di confronto e come unica fonte di verità, i momenti di disorientamento della mia vita si sono diradati. Rimane la consapevolezza delle difficoltà di seguire un cammino così radicalmente contrapposto con i modelli suggeriti dal mondo in cui mi muovo quotidianamente.
Ho vissuto un forte disorientamento quando mi sono incamminato su questa via. Non vedevo come avrei potuto rinunciare a tante mie consolidate convinzioni e a tante mie prerogative. Ho dovuto faticare e battagliare bene prima di riuscire a vedere una meta che prima mi era occultata dall’orgoglio di essere il gestore della mia vita.
Questa meta ora la scorgo. La via per raggiungerla è cosparsa di ostacoli che vedo e di altri che vedrò nel prosieguo del cammino. Ma questo non mi disorienta, anzi mi fa credere ancora di più che non devo togliere lo sguardo dal punto finale che a stento riesco a focalizzare.
Mi rendo conto anche che questo andare non lo posso fare da solo. Il procedere in quella direzione mi è consentito solo se lo compio in compagnia delle persone che con me stanno vivendo la medesima esperienza.
La Chiesa è il luogo della crescita. E’ la vera e unica bussola, il cui ago è la parola di Dio, che ci può condurre in porto. E’ il luogo di confronto con gli altri, è il punto di incontro.
Ma la Chiesa che io sogno, credo sia quella che il Signore ci ha consegnato con la sua Pasqua, è una Chiesa in cui spariscono commissioni, consigli e chiacchiere. Dove l’unica parola che si sente è la sua Parola, dove tutti cercano negli altri i motivi di unione piuttosto che quelli di divisione.
Questa è forse una utopia. Ma i motivi di disorientamento vengono più da un consiglio pastorale in cui si litiga per delle spese più o meno utili o da strane decisioni di “liturgia economica”.
Di unione abbiamo bisogno tutti per crescere e per farci scrivere nel cuore l’amore che Dio desidera darci, per toglierci ogni dubbio sulle sue intenzioni su di noi». (Umberto)
Lavoro personale
Ciascuno rifletta personalmente sulla seguente proposta:
– Alla luce del commento ciascuno individui le tappe da percorrere per operare un discernimento nella propria vita.
– Immaginate che questa lettera sia scritta dal Signore alla tua comunità. Prova a indicare «le opere, la fatica e la costanza» (Ap 2,2) che sono in atto in essa.
Criteri per il discernimento
Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell’eternità. Tutto è prezioso, anche «un bicchiere d’acqua fresca» (Mt 10,42) dato con amore. In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?» (Mt 16,2-3). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa. I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del Regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un’ideologia, per giustificare l’adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia, non andarne a rimorchio. (Dal Catechismo degli adulti: La verità vi farà liberi, n. 1178)