Il cantico di Ap 15,3b-4, proposto dalla liturgia del vespro ogni venerdì, è qualificato dal testo stesso come «cantico di Mosè e dell’Agnello» (v. 3a), richiamando contemporaneamente, più a livello di risonanze che di vere e proprie citazioni, gli altri due cantici di Mosè che troviamo nell’Antico Testamento: il primo che celebra il passaggio del Mar Rosso e la distruzione dell’esercito egiziano (Es 15), il secondo che racconta i benefici di Dio in favore di Israele durante il cammino nel deserto (Dt 32).
Anche le espressioni che troviamo nel cantico richiamano molte citazioni della Scrittura (cfr. Sal 86,9; 98,2; 111,2; 139,14; 145,17; Es 34,10; Dt 32,4; Gr 10,7; 16,19; Is 2,2; Mi 1,11), qui organizzate in modo da sottolineare che la vittoria è da attribuire al solo agire di Dio a favore del suo popolo. Lo stesso richiamo esplicito a Mosè permette di risentire fortemente l’eco dell’esperienza della liberazione, del peregrinare nel deserto e dell’ingresso nella terra promessa, realtà che ora trovano piena realizzazione nel Cristo morto e risorto, il vero Mosè, di cui il primo era figura. Se il cantico di Mosè (Es 15) celebra la trionfale vittoria sul faraone oppressore d’Israele, il cantico dell’Agnello esalta il trionfo di Dio, re delle nazioni.
Contesto
Il capitolo 15 si apre con due visioni:
– la visione in cielo di «un altro segno, grande e meraviglioso» (v. 1)
– e quella di «coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome» (v. 2), che ora cantano il cantico di Mosè e dell’Agnello (v. 3). Visione del segno e cantico connettono i capitoli 15 e 12 del libro, dove i segni e i cantici che li costituiscono formano tra loro una inclusione intenzionale.
Nel capitolo 12 i segni della donna e del drago (vv. 1-3), della lotta che scaturisce tra i due, fra le comunità cristiane e le forze sataniche, avevano impostato la tensione drammatica che segna la storia.
Ora, il giudizio di Dio che il nostro brano introduce (Ap 15,1), ne segnala la conclusione: l’intervento di Dio pone fine alla furia del dragone e alle forme storiche in cui essa si manifesta.
Così al canto per la vittoria sull’accusatore grazie al sangue dell’Agnello (Ap 12,10-11), il quale è ritto sul monte Sion (14,1), centro dell’umanità salvata (i centoquarantaquattromila), si unisce il canto per la vittoria sulla bestia, ossia su tutte le forme storiche nelle quali si esprime la pretesa dispotica di dominare il mondo, la presunzione di farsi dio attraverso una sua ridicola e distruttiva falsificazione.
E’ il cantico qualificato come «il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello» (Ap 15,3a), ossia il cantico suscitato dall’azione liberatrice di Dio (Es 15,1-18), che è giunta al suo compimento nella Pasqua di Gesù.
Come Mosè, dopo la traversata del Mar Rosso, aveva cantato l’azione di grazie del popolo salvato dagli egiziani, così i vincitori della bestia stanno ritti sul mare di cristallo e cantano un cantico di riconoscenza.
E’ anche il cantico dell’Agnello, perché la loro vittoria è associata a quella dell’Agnello.
E’ il cantico espressivo della vita dei salvati, quel canto che solo i redenti sanno cantare (cfr. Ap 14,3: «Essi cantano un canto nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e agli anziani. E nessuno poteva comprendere quel canto se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra»).
Struttura del testo
Il cantico è articolato in modo da assolvere, nel suo contesto, una funzione precisa. Esso si presenta come «racconto» che evidenzia il tracciato dell’agire di Dio nella storia, consentendo di riconoscerlo come presente in essa (v. 3b).
In tal modo viene spiegato il movimento dei popoli verso di lui (v. 4b), mentre al centro emerge l’unicità del nome di Dio, il «solo Santo» (v. 4a).
Grandi e mirabili sono le tue opere,
Signore Dio onnipotente;
giuste e vere le tue vie, o re delle nazioni!
4 Signore, chi non temerà
e non darà gloria al tuo nome?
Poiché tu solo sei santo.
4b Tutte le nazioni verranno
e si prostreranno davanti a te,
perché i tuoi giusti giudizi furono manifestati.
Spiegazione
Il tracciato della presenza di Dio nella storia
Tre termini sottolineano ciò che nella storia attesta la presenza di Dio:
le opere,
le vie,
i giudizi.
Ciascuno dei tre termini riceve una qualifica specifica:
le opere sono «grandi e mirabili»,
le vie sono «giuste e vere»,
i giudizi «giusti».
Tali qualifiche sono un invito a riconoscere lo «stile», il modo specifico con il quale Dio si manifesta dentro la storia dell’umanità; sono i gesti di salvezza che Dio ha compiuto in Gesù Cristo.
Grandi e mirabili sono le tue opere.
Dio si rivela nei fatti, dice chi è agendo. L’agire di Dio non è insignificante: suscita meraviglia e sorpresa, esso è gratuito, non preventivabile, e, nello stesso tempo, segna un punto di non ritorno. Nell’agire di Gesù Cristo, l’Agnello, nelle sue parole e nei suoi gesti, Dio ha raggiunto il vertice della sua presenza e segna definitivamente la storia. In questo suo operare egli emerge come il Signore onnipotente, come colui che dà consistenza, che dà senso e porta a compimento la storia.
Giuste e vere le tue vie.
Le opere di Dio tracciano nuovi percorsi per impostare la vita, aprono progetti ai quali Dio rimane fedele e che sono veramente pertinenti alla vita e alla dignità dell’uomo.
Queste vie sono sicure come è sicura la promessa di Dio.
E’ proprio di Dio disporre di una via anche sul mare, là dove all’uomo sembra di incontrare l’esaurimento delle possibilità di vita (cfr. Es 14,21-29; Is 43,16; Sal 77,20).
In ciò egli si manifesta come «re delle nazioni», come colui che sa difendere da tutto ciò che minaccia la vita, che sa radunare dalla dispersione. Dio è re nel senso che domina, con la sua onnipotenza, tutte le forze del male. La sua guida garantisce solidità e giustizia.
Giusti i tuoi giudizi.
Le opere di Dio e i tracciati di cammino di vita che esse consentono dicono un mondo in cui la forza della presenza di Dio sta operando. Egli non è impassibile, neutrale.
La sua azione e presenza svelano l’effettiva consistenza di ogni operare umano, portano allo scoperto ciò che è pretesa fuori luogo, falsificazione che distrugge.
Nel suo giudizio la lettura della storia prende lucidità e orientamento verso la realizzazione di un mondo degno dell’uomo, che non è un sogno ma una certezza.
Le nazioni devono imparare a leggere nella storia il messaggio di Dio, a cogliere la storia come orientata verso la salvezza. Questa certezza deve essere condivisa da tutti gli uomini.
Il movimento dei popoli
Suscitato dalle opere, dalle vie e dai giudizi di Dio, prende il via un movimento di popoli che trovano nel Signore il loro approdo («Tutte le nazioni verranno e si prostreranno davanti a te»).
Benché la storia nella sua complessità si presenti spesso carica di contraddizioni, un filo rosso la attraversa tutta e consente di non smarrire la direzione che la porta alla vittoria, a non soccombere al potere distruttivo del male: è la forza di Cristo che la penetra e la qualifica positivamente.
Tutto ciò suscita lo stupore dell’adorazione, una gratitudine meravigliata per come Dio ha saputo venirci incontro e tenere aperta la strada. In questo egli si manifesta, dice il suo nome.
Questo grande movimento di popoli esprime la risposta alla sconvolgente novità di Cristo che li rende partecipi della sua vittoria: sono quindi in grado di fare proprio il messaggio del cantico nuovo, il cantico dell’Agnello, e di esprimerlo ad altri e con altri.
Il nome di Dio
0 Signore, chi non temerà e non glorificherà il tuo nome?
L’espressione del v. 4, che richiama da vicino il cantico di Mosè (Es 15,11: «Chi è come te fra gli dèi, Signore? Chi è come te maestoso in santità?»), è un’interrogativa retorica che, mentre, da un lato suppone che non ci sia alcun motivo plausibile per non rendere gloria a Dio, dall’altro sollecita l’assunzione di un atteggiamento adeguato davanti a lui: il timore e il rendere gloria.
Questi due atteggiamenti, che scaturiscono dalla libertà che Dio dona agli uomini e nella quale egli manifesta la sua grandezza, vengono poi sintetizzati nella proclamazione solenne della santità di Dio, nel riconoscimento della sua unicità come santo:
Tu solo sei santo.
Dio non ha eguali, la sua azione lo attesta come unico. Non ha fatto della sua unicità un privilegio, un motivo di distanza da noi; al contrario, la sua unicità, la sua santità, si è manifestata come capacità di condivisione della nostra umanità.
Non ha abolito la storia, non ha preteso di dominarla dall’alto e neppure se ne è assentato. Vi è entrato nel modo della Pasqua (come Agnello) e ci ha aperto una via di libertà.
L’unicità di Dio, della sua santità, non è pertanto l’unicità di un solitario da contemplare, ma l’unicità di chi sa esprimersi in una modalità relazionale unica, quella che l’Agnello ha realizzato una volta per tutte, quella in cui egli si offre in tutta la sua disponibilità, nella totale assenza di qualsiasi forma di imposizione. Questa è la permanente meraviglia suscitata dall’agire di Dio.
La comunità cristiana, dunque, celebra la grazia del Signore che la riunisce da tutti i popoli, la fa vivere e la guida verso il compimento. La memoria positiva e feconda della Chiesa che essa celebra è la relazione che le viene offerta dall’unico Santo, che si distende nelle opere, nelle vie e nei giudizi di Dio.
Significati per la nostra vita
Il cantico si propone come chiave di lettura, come suggerimento di percorso per ritrovare il filo dell’azione di Dio nella storia, per recuperare le ragioni del proprio cammino.
La gratuità e l’universalità dell’amore di Dio sono il punto di partenza della storia della salvezza.
La comunità dei credenti deve rivelare l’uno e l’altro aspetto, muovendosi nella stessa direzione del Cristo.
L’amore disinteressato e universale della Chiesa trova la sua origine nella unicità della santità di Dio («Tu solo sei santo»), di cui la comunità è trasparenza storica. Non solo: l’agire disponibile e gratuito di Dio è proteso a rendere partecipi tutti gli uomini della sua salvezza, di un cammino di riapertura ai significati e alla realizzazione della vita, venendo così a costruire una comunione, un grande raduno tra gli uomini («Tutte le nazioni verranno»).
Il testo è un forte messaggio di consolazione.
Una consolazione fondata sulla certezza che la vittoria del Cristo crocifisso e risorto è una vittoria già avvenuta, definitiva, anche se non se ne vedono ancora tutte le conseguenze («I tuoi giusti giudizi si sono manifestati»).
E l’orientamento conseguente sta nel porsi di fronte alle vicende umane, che tuttora sembrano nelle mani delle forze distruttive, con un atteggiamento di fondamentale fiducia: il male sembra forte, ma in realtà è già sconfitto.
Il cantico ci apre verso un futuro continuamente offerto da Dio, anche se spesso siamo indotti a soffermarsi sul lato drammatico, a scapito dello splendore dei momenti finali.
La tentazione non viene solo dal di fuori della comunità, ma anche e soprattutto dal di dentro. L’invito è a mantenere un atteggiamento di costanza che comprende il fermo atteggiamento di fedeltà all’amore rivelato da Dio in Gesù Cristo: mantenerci fedeli al dono anche quando le possibilità di vita sembrano esaurirsi. Occorre fare proprio lo stile della risposta di Dio al rifiuto del mondo: una risposta d’amore, che proprio di fronte al rifiuto esprime tutta la sua profondità e la sua ostinazione.
La solidità della fede in Cristo, messa alla prova dalle difficoltà esterne, si esprime particolarmente nell’obbedienza operante al suo insegnamento, in una fede che si lascia trascinare nel suo movimento d’amore e di solidarietà («Giuste e vere le tue vie»). L’oggi della comunità si trova a essere qualificato come tempo di perseveranza nella fede e nell’amore.
La vittoria che Dio offre non dice il prevalere di un gruppo sull’altro. Lo stesso schema della guerra serve nel libro dell’Apocalisse a dare risalto alle tensioni drammatiche che, di fatto, segnano la nostra storia. Tale vittoria ha modalità sorprendenti: è già del tutto decisa nella Pasqua di Gesù Cristo e continua a verificarsi tramite la testimonianza che viene resa a lui («o re delle nazioni»).
E’ la vittoria come libertà da ogni contraffazione, da ogni tentativo di falsificare o deturpare il volto della dignità delle persone.
E’ vittoria effettiva poiché la verità dell’amore non può essere strappata a chi la assume come criterio di vita e, nello stesso tempo, dona identità proprio mentre si è nella prova.
E’ una vittoria che non si preoccupa di dire la propria affermazione di dominio o di possesso, ma unicamente di esprimersi attraverso una disponibilità gratuita e incondizionata per arricchire il crescere e il maturare dell’altro. Una disponibilità a offrire continuamente libertà dalle strettoie di tutto ciò che soffoca e paralizza un cammino di autentica umanizzazione.
Proclamare la gloria del nome di Dio («Chi non glorificherà il tuo nome?»), lungi dal rappresentare un superamento dell’esistenza terrena di Gesù, relegandola nel passato, la propone come parola di perenne attualità per la Chiesa e per il mondo, la rivela quale indispensabile punto di riferimento perché gli uomini possano orientare la loro vita sulla strada della salvezza.
La liturgia della Chiesa è il riconoscimento e la riconoscenza per ciò che Dio, l’unico Santo, ci rende fin d’ora disponibile dentro la trama complessa e talora contraddittoria e oscura della nostra storia. La lode della Chiesa non è fuga, ma proclamazione di ciò che ci è donato come traccia di vita e per la vita («Grandi e mirabili sono le tue opere… giuste e vere le tue vie»).
Una fede cristiana ristretta ad acclamazioni liturgiche e a celebrazioni rituali della gloria divina, ridotta a esperienze di entusiasmo o a spiritualità disincarnate, non può esprimere il vero culto cristiano. La liturgia cristiana può essere partecipata e compresa solo da chi si lascia coinvolgere nell’azione di Dio che rigenera a libertà. Una liturgia dissociata dall’ortoprassi cristiana non dice la santità di Dio. Il Risorto non ci toglie dalla storia, ci immerge nel presente, collocandoci di fronte all’esigenza di un impegno concreto di obbedienza e di amore, invitandoci a comprendere che confessare la sua signoria, adorarlo come Figlio di Dio significa farsi suoi discepoli nella nuova prassi da lui proposta e sentirci continuamente preceduti, sorretti e motivati dalla sua fedeltà disponibile («o Signore Dio onnipotente … tu solo sei santo»).
La liturgia ripresenta l’agire di Dio come parola di perenne attualità per la Chiesa e il mondo, lo rivela quale indispensabile punto di riferimento perché gli uomini possano orientare la loro vita sulla strada della salvezza.
Preghiera finale
Sei grande, Signore,
e meriti ogni lode;
grande è la tua potenza,
e la tua sapienza non ha limiti.
E vuole celebrare le tue lodi
quella piccola parte della tua creazione
che è l’uomo, che si porta dentro la sua precarietà,
la testimonianza del suo peccato
e della tua volontà di resistere ai superbi,
e che tuttavia, piccola parte della tua creazione,
vuol celebrare le tue lodi.
Sei tu che susciti in lui questo desiderio,
perché tu ci hai fatti per te
e il nostro cuore non ha pace
finché non riposa in te.
Dammi, o Signore,
di conoscere e capire se si debba prima conoscerti o celebrarti,
prima conoscerti o invocarti.
Ma chi potrebbe invocarti senza prima conoscerti? (Sant’Agostino)
Una testimonianza
Ho 56 anni, sono sposata da 32, e ho due figli: Andrea di 31 anni e Alessandra di 28 anni.
Il perno, il senso della mia vita è stato ed è Dio. Ci sono persone che sono state fondamentali per il mio “essere”: penso ai miei nonni, alla loro fede piena, senza riserve (un fiducioso abbandono nella Provvidenza!).
Poi mia madre che, rimasta vedova quando avevo tre anni, mi ha insegnato a parlare al mio papà perché era vivo in cielo e ci avrebbe aiutato, essendo lui vicino a Gesù.
La fanciullezza e poi l’adolescenza… (sempre casa, scuola e chiesa, ma non si chiedeva di più… non si sentiva la mancanza di “altre cose”). Poi l’incontro con il mio futuro marito. Al di là della simpatia, dell’attrazione, credo che ci siamo avvicinati prima di tutto perché condividevamo fede e ideali.
Difficoltà ne abbiamo incontrate sia nel matrimonio (rapporto di coppia, convivenza con mia madre…) che nell’educazione dei figli (tutti e due purtroppo si sono allontanati dalla pratica religiosa).
Ripenso ai veri eventi dolorosi: incidenti stradali dei figli, morte di persone care, della mia mamma.
Sempre ho sentito la presenza del Signore; da sola non avrei avuto la forza di affronatre il dolore, di andare avanti, di ricominciare… di pazientare. Vivo abbastanza alla giornata, affidandomi a Dio. Sono quasi sempre serena ( a volte mi sembra di essere un po’ incosciente) e sinceramente ripenso poco al mio passato: ho imparato che nostalgie e rimpianti non servono, bisogna guardare avanti e camminare con il Signore. (Lucia)
Un testo dal magistero della Chiesa
Lo Spirito santo conduce avanti attraverso i secoli il cammino della Chiesa e le impedisce di indugiare sulle mete raggiunte. Mentre la induce a guardare indietro nel passato, verso Gesù di Nazaret, in cui la rivelazione e la salvezza si sono copmpiute una volta per sempre, la fa guardare avanti verso il Signore risorto, che è il futuro del mondo e la novità ultima. La bimillenaria storia della Chiesa può essere considerata un grande esodo, misteriosamente guidato dallo Spirito di Dio, verso traguardi sempre nuovi, nella sostanziale continuità con le origini, malgrado le innumerevoli infedeltà personali dei credenti e le deformazioni della comunità. (Dal Catechismo degli Adulti, La verità vi farà liberi, 485).
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