di p. Attilio F. Fabris
Chi può pretendere di saper già pregare? Dinanzi al mistero di Dio rimaniamo sempre degli apprendisti, bisognosi di approfondire. In questo difficile cammino è dunque indispensabile essere preparati agli scogli, alle varie difficoltà che ci obbligano sempre a dover ripetere: “Signore, insegnaci a pregare”.
I principali scogli che incontriamo potremmo elencarli come:
– mancanza di povertà
– mancanza di preparazione
– mancanza di gratuità.
L’ILLUSIONE DEL CEREBRALE
Crediamo spesso che per pregare dobbiamo anzitutto avere delle idee. Forse giudichiamo la bontà della nostra preghiera nella misura in cui abbiamo avuto delle buone idee. O al contrario affermiamo: “Sono così poco ispirato durante la preghiera!”.
Quando preghiamo non si tratta di seguire un corso di teologia, né una dissertazione, ma di conformare la nostra volontà, i nostri progetti alla volontà e ai progetti di Dio.
Prendiamo l’esempio dei salmi: essi sono costruiti su un piccolissimo numero di temi molto semplici: la grandezza di Dio, la debolezza dell’uomo, la misericordia di Dio, la confidenza dell’uomo. Per entrare in questi temi non occorre certamente essere dei laureati. Andiamo a Dio con tutta semplicità e con i nostri bisogni più veri ed essenziali.
La preghiera, più che pensieri della mente, si deve trasformare in un linguaggio del cuore che è anzitutto nell’ordine della fede e non delle idee.
Se la preghiera non raggiunge questo livello rimane un puro esercizio della mente, un atto che rimanda ad una nostra presunta sufficienza.
Imparare a guardare e a lasciarci guardare, amare e lasciarci amare. E’ il vertice della preghiera: la contemplazione:
“è sguardo di fede fissato su Gesù: “Io lo guardo ed egli mi guarda” diceva al suo santo curato il contadino d’Ars in preghiera davanti al tabernacolo. Questa attenzione a Lui è rinuncia all’”io”. Il suo sguardo purifica il cuore. La luce dello sguardo di Gesù illumina gli occhi del nostro cuore; ci insegna a vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini.” (CCC 2715).
Ciò non significa assolutamente che non occorra partire da una meditazione della mente, da un’idea, che ci impedisca la dispersione.
Occorre infatti fissare lo Spirito al fine di permettergli di ritrovare Colui che la nostra distrazione rischia di allontanare:
“La meditazione è soprattutto una ricerca. Lo spirito cerca di comprendere il perché e il come della vita cristiana, per aderire e rispondere a ciò che il Signore chiede. Ci vuole un’attenzione difficile da disciplinare. Abitualmente ci si aiuta con qualche libro, che ai cristiani non mancano: la sacra Scrittura particolarmente il santo Vangelo, le sante icone, i testi liturgici del giorno o del tempo, gli scritti dei Padri della vita spirituale, le opere di spiritualità, il grande libro della creazione e quello della storia, la pagina dell’ “oggi” di Dio” (CCC 2705).
Ma bisogna fare attenzione. Questo sforzo della mente deve sempre essere pervaso dal desiderio di incontrare Dio e di far nostre la sua volontà ed il suo amore:
“La teologia è luce, la preghiera è fuoco. La loro unione esprime l’unione dell’intelligenza e del cuore. ma è l’intelligenza a doversi “riposare” nel cuore e la teologia a doversi sorpassare nell’amore. “Se sei teologo pregherai veramente, e se tu preghi veramente sei teologo” (Evagrio P.)” (O. Clement)
E’ il Dio vivente che noi cerchiamo. Non andiamo alla preghiera per aumentare il nostro bagaglio intellettuale sia pure religioso, ma per ridire a Dio che noi l’amiamo e che sappiamo che Lui ci ama, per conformarci al piano di misericordia che è il suo.
L’ILLUSIONE DEL SENSIBILE
Rischiamo ancor più di ricercare noi stessi in luogo di Dio nella nostra sensibilità e di credere che la nostra preghiera abbia valore nella misura in cui abbiamo “sentito” qualcosa.
La nostra cultura è smaniosa di nuove esperienze, del “sentire”, di ricercare nuovi stati di coscienza etc…
“Nel combattimento della preghiera dobbiamo affrontare in noi stessi e intorno a noi, delle concezioni erronee della preghiera. Alcuni vedono in essa una semplice operazione psicologica, altri uno sforzo di concentrazione per arrivare al vuoto mentale. C’è chi la riduce ad alcune attitudini e parole rituali” (CCC 2726).
Ciò che differenzia grandemente la preghiera cristiana da esperienze meditative di altre aree religiose è l’assenza di ricerca di una proiezione di sé stessi. Noi non preghiamo in primo luogo per ritrovare noi stessi, ma per donarci ad un Altro, per entrare in un disegno di salvezza che ci sorpassa.
Ciò che conta per noi non è la qualità dell’esperienza interiore che apparentemente talvolta può essere molto deludente, ma Colui che è l’oggetto di questa esperienza.
Non andiamo alla preghiera anzitutto per ricevere ma per donare: e se è l’amicizia con Dio che ci sta veramente a cuore, allora andremo alla preghiera per donarci in dono gratuito: “Donare ostia per ostia” (M.Robin).
Il fariseo della parabola è persuaso che egli sta ostentando a Dio i frutti della sua pratica di pietà, mentre il pubblicano non sa che egli sta facendo a Dio il più bel dono, dandogli l’occasione di manifestare il suo amore.
C’è in noi una certa sfumatura farisaica quando diciamo: “Sono contento di averti fatto piacere!”. Si è cercato noi stessi nel dono non l’altro. Poter dare sapendo di poter dare è ancora giocare al ricco.
Da qui l’importanza che i mistici danno al vuoto, al nostro nulla davanti a Dio:
“A poco a poco, al di là delle sue forme secondarie la preghiera deve fare il vuoto in attesa di Dio. Un vuoto attento, raccolto, amoroso. “Vuoto” quando alla tensione interna non corrisponde niente di esteriore (S.Weil). Povertà. Nada dei mistici spagnoli” (O.Clement).
Il nostro amore per Dio deve attraversare il deserto della purificazione: operare il passaggio dalla ricerca del nostro piacere a voler amare Dio perché è Dio.
Se Dio resta in silenzio, frustrando le attese della nostra sensibilità, è perché Egli ha sommo rispetto della nostra libertà e del nostro vero bene. Egli opera in tal modo un affinamento spirituale:
“Abbiamo la pretesa di vedere il risultato della nostra domanda. Qual è dunque l’immagine di Dio che motiva la nostra preghiera: un mezzo di cui servirci oppure il Padre di nostro Signore Gesù Cristo?…
Se noi chiediamo con un cuore adultero, diviso, Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita. … Il nostro Dio è “geloso” di noi, e questo è il segno della verità del suo amore. Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi” (CCC 2734.7).
Scriveva in una lettera s. Francesco di Sales: “Mi dite che non fate niente durante la preghiera, ma cosa “volete” fare, se non ciò che già fate ossia presentare e ripresentare la vostra miseria a Dio. Quando i mendicanti espongono la loro miseria e necessità, è questo il miglior richiamo che essi possono indirizzarci”.