• 29 Dic

    Si assiste sempre più ad un accentuato contrasto tra l’insistenza dei pastori sull’importanza, anzi sulla necessità dell’impegno politico dei cattolici, e il diffuso disimpegno in questo ambito.

    Potrebbe scaturirne una visione pessimismistica: se i cristiani più vicini agli insegnamenti della Chiesa non percepiscono concretamente la necessità dell’impegno politico, sembra superfluo insistervi ulteriormente e dedicare un convegno a questo tema.

    L’altra prospettiva  invece è più ottomistica: il diffuso disinteresse in campo politico deve servire di stimolo per perseverare in tale insegnamento, per insistere sulla necessità dell’impegno politico, e sulle caratteristiche che esso deve avere; e bisogna farlo non solo al livello teoretico, ma anche al livello pratico e in modo incisivo.

     

    1. Il diritto-dovere all’impegno politico

     

    Tutti coloro che partecipano alla vita sociale, vale a dire tutti gli uomini, hanno il diritto e il dovere di impegnarsi in campo politico.

    Naturalmente, ognuno lo farà con modalità diverse, secondo la sua situazione e le sue attitudini; ma nessuno può rimanere estraneo a questo importante compito.

    Ciò è particolarmente vero per i cristiani.

    Prima però vorrei fare una precisazione: il diritto-dovere di partecipare alla vita politica deriva dalla cittadinanza delle persone.

    In tal senso, un cattolico non ha una situazione particolare che accresca o riduca tale diritto-dovere rispetto al resto della società.

    L’essere cattolico costituisce però, di fronte alla propria coscienza, un ulteriore motivo per vivere con più responsabilità l’impegno politico.

     

    1.1. Il punto di vista della Redenzione

     

    Cristo ha redento tutto l’uomo, anche nel suo essenziale rapporto con gli altri e con la società. La realtà sociale naturale è stata assunta nel disegno redentore

    Tutte le attività temporali possono quindi essere vissute come risposta alla vocazione divina, nella quale la persona segue le orme del Signore.

    Nell’esperienza della salvezza l’uomo scopre il vero significato della sua libertà ed è educato al suo retto uso. Così alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi una dimensione etica: la persona è chiamata ad agire in favore della liberazione da ciò che schiavizza l’uomo, anche riguardo ai rapporti sociali.

    Sebbene la salvezza non possa essere ridotta alla dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza, la distinzione tra le due non comporta una separazione; infatti, la vocazione dell’uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo dovere di mettere in atto le energie e i mezzi per sviluppare la sua vita temporale.

    Perciò nessuna realtà umana — ambito politico incluso — è estranea al disegno redentore e, pertanto, all’evangelizzazione e alla missione della Chiesa e dei cristiani.

    Tuttavia, «si osservano a volte degli atteggiamenti che derivano dall’incapacità di penetrare in questo mistero di Gesù.

    Per esempio, la mentalità di chi vede nel cristianesimo soltanto un insieme di pratiche e atti di pietà, senza coglierne il nesso con le situazioni della vita ordinaria, con l’urgenza di far fronte alle necessità degli altri e di sforzarsi per eliminare le ingiustizie. Direi che chi ha questa mentalità non ha ancora compreso che cosa significa che il Figlio di Dio si sia incarnato, abbia preso corpo, anima e voce umana, abbia condiviso il nostro destino, fino a sperimentare la suprema dilacerazione della morte. Magari senza volere, alcune persone considerano Cristo come estraneo all’ambiente degli uomini.

    Altri, invece, tendono a immaginare che per poter essere umani bisogna mettere in sordina alcuni aspetti centrali del dogma cristiano, e agiscono come se la vita di preghiera, il colloquio continuo con Dio, costituissero un’evasione dalle proprie responsabilità e un abbandono del mondo. Dimenticano che fu proprio Gesù a rivelarci fino a quali estremi debbono essere spinti l’amore e il servizio. Soltanto se cerchiamo di capire il mistero dell’amore di Dio, il mistero dell’amore che arriva fino alla morte, saremo capaci di darci totalmente agli altri senza lasciarci sopraffare dalle difficoltà o dall’indifferenza».

    In breve: sebbene la crescita del Regno di Dio e la promozione umana non si identifichino, esiste tra di esse una concatenazione profonda ed inscindibile. Perciò la sequela di Cristo richiede l’ottemperanza dei doveri politici, e questi si possono compiere con maggiore perfezione se sono animati dallo spirito cristiano.

    Tutto ciò pone ai cristiani obblighi specifici: essi non devono considerare le strutture sociali, politiche ed economiche come indifferenti rispetto alla storia salvifica, ma come realtà affidateci dal Signore come compito e connotate dalla scelta libera e responsabile degli uomini e, quindi, positivamente o negativamente relazionate ai valori del Regno.

     

    1.2. Punto di vista della perfezione personale

     

    Il disegno del Creatore include la vita sociale degli uomini (cfr. Gn 2,18). Dio ha chiamato l’uomo a raggiungere la patria celeste tramite l’agire terreno; sicché tutte le attività umane indirizzate a far progredire questa vita corrispondono alle intenzioni del Creatore, e le persone devono compierle responsabilmente.

    In unione con Cristo l’operare politico acquisisce una dignità tutta nuova: non è soltanto un’opera “indifferente” resa buona da qualcosa di esterno, ma è molto di più poiché, per l’unione con Cristo, tale agire diviene una realtà santa, santificata e santificante nella storia della salvezza.

    Non esiste un’autentica vita cristiana (neppure umana) se si tiene poco conto dei bisogni, delle leggi e delle istituzioni sociali. E ciò è ancora più vero nelle circostanze odierne, in cui la crescente interdipendenza sottolinea pressantemente che tutti siamo veramente responsabili di tutti.

    Perciò il Vaticano II ammonisce: «Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna»[14].

    Talvolta si è detto che la preoccupazione dei cristiani per l’aldilà fa loro dimenticare i problemi del mondo presente. La realtà è diametralmente opposta: poiché la vita eterna dipende dal nostro agire in questo mondo, e più specificamente dall’agire in favore degli altri, occorre riconoscere che la vita cristiana è un forte incentivo ad impegnarsi seriamente nella costruzione di una società più giusta e fraterna.

     

    1.3. Punto di vista della società

     

    Lo scopo precipuo della politica è il raggiungimento del bene comune.

    Il dovere di partecipare allo sviluppo del bene comune non riguarda però tutte le persone nella stessa misura; è un dovere differenziato a seconda del ruolo sociale di ognuno. Tale responsabilità è propria in primo luogo dello Stato e dei poteri pubblici, poiché questa è la loro ragion di essere e, conseguentemente, il loro dovere primario.

    Ciò però non giustifica il disimpegno per il bene comune delle singole persone e dei gruppi sociali. Poiché il bene comune è il fine della società, tutti i suoi membri sono responsabili nell’instaurarlo e conservarlo.

    Di più: come la dottrina della Chiesa insegna e la storia ha dimostrato, per assicurare un saldo bene comune occorre una floridezza di società intermedie; «queste, infatti, maturano come reali comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell’anonimato ed in un’impersonale massificazione, purtroppo frequente nella moderna società».  La necessità dell’impegno di tutti per il bene comune comporta la necessità dell’impegno di tutti nella vita politica.

     

    1.4. Obbligatorietà dell’impegno politico

     

    Da quanto detto si desume la straordinaria portata umanizzante (o disumanizzante) dell’attività politica. Perciò «la Chiesa ha un’alta stima per la genuina azione politica; la dice “degna di lode e di considerazione” (Gaudium et spes, n. 75), l’addita come “forma esigente di carità” (Octogesima adveniens, n. 46).

    Da ciò derivano il diritto e il dovere di impegnarsi per migliorare la vita pubblica, organizzandola in modo conforme alla dignità della persona umana.

    Questo è oggi un diritto ampiamente accettato nella società.

    Ma è anche un dovere, poiché libertà non significa soltanto mancanza di coazione o indifferenza nell’agire; la libertà è una formidabile energia, una fonte potenziale di progresso che non deve rimanere inattiva, né nelle singole persone, né nelle comunità e nei paesi. Anzi, la “salute” di una comunità politica si esprime, tra l’altro, «mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti alla cosa pubblica”.

    A ciò si deve aggiungere che l’ottenimento di un bene — incluso il bene comune — esige un impegno attivo. La politica non può limitarsi all’ambito teoretico: non basta comprendere perché un’azione umana sia buona o cattiva in ordine al bene sociale. Il suo scopo è anche, e principalmente, quello di “dirigere” l’agire umano verso il bene: perciò la politica possiede una “praticità” inerente al suo stesso enunciato.

    L’insegnamento sociale cristiano possiede, pertanto, un’imprescindibile dimensione pratica, e deve evitare una grave e deleteria dicotomia: quella che separa la fede dalla vita.

    Non è proprio del cristianesimo un malinteso distacco che porta a vedere le cose del mondo come estranee ai propri interessi, né una lamentazione sterile che nulla risolve. È necessario che i cristiani apportino alla vita sociale l’elemento vivificatore dei principi evangelici, rispettando l’autonomia delle realtà terrene, che, pure, costituisce un principio evangelico

    Così Leone XIII ricorda che per i fedeli «l’astensione totale dalla vita politica non sarebbe meno biasimevole che il rifiuto di qualsiasi concorso al pubblico bene: tanto più che i cattolici in ragione appunto dei loro principi, sono più che mai obbligati di portare nei propri impegni integrità e zelo». E Paolo VI invitava tutti a fare, a questo proposito, un serio esame di coscienza: «Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva. (…) In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle organizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsabilità e individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a partecipare»[27]. Indirizzate direttamente ai fedeli laici, le seguenti parole di Giovanni Paolo II sottolineano come questo grave dovere di tutti i cattolici sia oggi sempre più pressante: «Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio».

    Si deve perciò prendere la decisione di influire positivamente sulla vita politica, evitando così un’apparente vita cristiana, che non può essere autentica se trascura i doveri sociali.

     

     

    2. Elementi che favoriscono un corretto impegno politico

     

    2.1. Finalità dell’agire politico

     

    Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Christifideles laici, afferma che la politica è la «molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente “il bene comune”». E poco dopo ricorda: «Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate»[29].

    Queste frasi sintetizzano un costante insegnamento della Chiesa: lo scopo immediato della politica è quello di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Perciò la politica, ad ogni suo livello, non va considerata soltanto come un metodo per costituire, consolidare ed esercitare il potere pubblico; né va vista come una procedura tecnica per il buon andamento di quanto corrisponde alla natura, alla finalità, ai mezzi e alle forme di organizzazione dello Stato. La politica è soprattutto un servizio al bene comune, che necessariamente include il bene integrale di ogni persona appartenente ad una determinata società.

    Da qui l’importanza di capire correttamente cosa sia il bene comune, affinché l’agire politico sia ad esso adeguato.

    Il Vaticano II insegna che il bene comune è «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». La finalità del bene comune è, pertanto, quella di aiutare e facilitare la realizzazione di ogni persona umana, affinché essa “sia” di più, e progredisca secondo l’integra verità dell’uomo. Ciò richiede che gli elementi materiali, culturali e spirituali siano sviluppati in modo armonico, sia in ogni singola persona, sia nei rapporti tra le diverse persone e i diversi gruppi sociali. Occorre ricordare che il bene comune non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione, in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti umani.

    E bisogna sottolineare che, poiché la perfezione della persona è intimamente legata alla sua dimensione trascendente, cioè alla sua relazione con Dio, il bene comune si ricollega, innanzitutto, all’aspetto spirituale e morale dell’uomo, a cui corrisponde la preminenza tra i diversi elementi dell’uomo stesso[33]. Preminenza, purtroppo, frequentemente dimenticata nel concreto agire politico odierno.

    Certo, la priorità dell’aspetto trascendente non esclude la necessità dei beni terreni, ma fa sì che questi siano integrati nel quadro generale della vita umana senza prendere il sopravvento:. Lo sviluppo integrale include il possesso di beni materiali, ma lo scopo di tali beni è di contribuire alla maturazione e all’arricchimento della persona umana in quanto tale. Per risolvere le “questioni sociali”, per trovare più efficienti strutture di governo o di produzione è necessario quindi che la ricerca sia accompagnata e, in un certo senso, preceduta dalla consapevolezza delle questioni umane più profonde e basilari.

    Bisogna curare, in primo luogo, lo sviluppo delle persone poiché il tentativo di migliorare la società senza impegnarsi per il miglioramento personale non può che rivelarsi illusorio.

    In aggiunta ai cambiamenti personali e istituzionali, occorre compiere un terzo passo, senza il quale i primi due rimarrebbero in uno stato di precarietà: bisogna cioè impregnare la cultura di fermenti etici, i soli che danno solidità allo sviluppo umano integrale. «È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta».

    In politica, forse più che in altri campi, non basta risolvere le questioni che si presentano giorno per giorno: è necessaria una programmazione culturale di ampio respiro. Il fallimento di tanti progetti fatti con buona volontà, ma privi di lungimiranza ne è la prova palese.

     

    2.2. I mezzi dell’impegno politico

     

    a) Dimensione morale della politica

     

    il primo “mezzo” dell’attività politica è quello di salvaguardare la sua dimensione morale.

    Tutto l’agire personale appartiene all’ordine morale: l’arte, la scienza, la tecnica, la politica, l’economia, ecc., non si possono considerare soggetti neutrali dal punto di vista della crescita umana. E siccome la politica è finalizzata a promuovere la dignità delle persone, vale a dire, al raggiungimento del bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, l’agire politico, più di altri ambiti dell’agire umano, è particolarmente legato alle esigenze morali.

    Infatti, «è nella persona umana, intesa nell’integralità dei suoi diritti e doveri, che deve trovarsi la base di partenza, il punto di incontro e il criterio deontologico per l’agire politico o per agire in politica. Il primato e la centralità della persona umana relativizzano ogni sistema politico e la stessa politica, sottolineandone vigorosamente il carattere funzionale e di servizio».

    Sicché la metodologia politica non deve essere sorretta da un’antropologia di tipo quantitativo (che aspira ad un gran numero di consensi), bensì da un’antropologia qualitativa che mira ad ottenere la fiducia dei cittadini; una fiducia che occorre conquistare giorno per giorno tramite un comportamento e un insieme di istituzioni e di leggi che siano in sé affidabili.

    Il principio cardine dell’etica sociale è la dignità di ogni essere umano. Tale dignità ha un limite negativo invalicabile che va applicato sempre a tutte le persone: non bisogna mai considerare una persona come una semplice parte di un corpo sociale e non bisogna abbassarla in nessun caso a mezzo, perché ogni persona ha sempre il valore di fine, in quanto titolare di diritti intangibili ed inviolabili. Tali diritti, che l’autorità politica deve tutelare in ogni circostanza, costituiscono non soltanto un confine invalicabile, ma anche un obiettivo da raggiungere. Perciò il rispetto della persona esige la solidarietà, perché nessuna fascia sociale (economica, etnica, religiosa, ecc.) deve essere esclusa dal bene comune.

    Da quanto detto si evince, e la storia lo ha mostrato in molteplici occasioni, che una vita sociale sana dipende da una moralità personale sana. E, viceversa, la separazione tra etica e politica risulta funesta per la stessa vita sociale.

     

    b) Impegno politico e coerenza cristiana

     

    La fedeltà morale trova un sostegno particolarmente valido nella vita cristiana: essa insegna l’intera verità sull’uomo e sorregge saldamente la condotta morale delle persone. Perciò la fede si rivela un aiuto di prim’ordine. Se vissute con coerenza, le credenze religiose — soprattutto quella cristiana — sono sempre un elemento importante dell’agire umano, sia nell’ambito individuale sia in quello che riguarda le rispettive comunità di appartenenza. 

    Al contrario, se si affievolisce la fede in Dio e in Gesù Cristo, e si spegne negli animi la luce dei principi morali, viene scalzato l’unico e insostituibile fondamento che può sorreggere un vero e duraturo ordine sociale.

    Certamente, la strada del miglioramento interiore delle persone come presupposto per migliorare le strutture politiche può sembrare «più ardua, più lunga, più complessa. A volte essa può apparire anche non adeguata all’urgenza dei problemi. Ma è l’unica che permette soluzioni veramente umane e durature. Insomma, la fede cristiana svolge un ruolo importante nella costruzione della società. Anche per questo il Vaticano II ricorda: «Il distacco, che si constata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»[54].

    È chiaro che tutto ciò non può costituire un alibi per la pigrizia e il disimpegno, né significa che la politica debba essere succube della religione, ma piuttosto che essa deve servire l’uomo e, di conseguenza, deve rientrare nell’ambito della morale, il cui fondamento saldo è Dio.

    La spiritualità del cristiano impegnato nell’ambito politico consiste nella maturazione della sintesi interiore e profonda tra l’obbedienza al disegno di Dio e l’impegno storico speso alla ricerca di strumenti e nel perfezionamento o nella creazione di istituzioni che rispondano alle esigenze ordinarie dell’esistenza terrena.

    Una fede coerente infonde un grande vigore allo sviluppo sociale, perché da essa deriva una motivazione perenne e profonda per incoraggiare gli impegni terreni e politici; essa comunica fiducia e ottimismo sulla possibilità di costruire un mondo più a misura d’uomo, anche se mai esisterà un «paradiso in terra». Le motivazioni religiose della Redenzione annunciata dalla Chiesa possono non essere condivise, ma l’atteggiamento etico che ne deriva costituisce uno dei cardini comuni più forti attorno ai quali si può sviluppare lo sforzo dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà per un cammino da compiere insieme.

     

    c) Inefficacia del comportamento onesto?

     

    Esiste una diffusa ammirazione, non sempre confessata, per coloro che, comportandosi in modo disonesto negli affari pubblici, tuttavia “la fanno franca”. Parallelamente si ritiene spesso che in ambito pubblico, soprattutto in quello politico, un comportamento onesto non risulti efficace. Da ciò nasce non soltanto l’idea che la politica sia sempre un “affare sporco” — il che accresce la disaffezione per questo ambito —, ma anche la pretesa di giustificare tale comportamento. «Oggi siamo in presenza di un tentativo in grande scala, a livello planetario e continentale, di annullare la nostra coscienza, personale e collettiva. Le società più avanzate sono alla ricerca di un “sistema societario” che possa rendere inutili e vani sia i valori sia le norme propriamente umane: il tentativo è quello di costruire un “sistema sociale” che consenta all’uomo di procedere senza dover fare scelte propriamente etiche, cioè fra il bene e il male» (Donati).

    Ma, anche limitandoci ad un’ottica puramente terrena e materialistica, occorre rilevare che un comportamento del genere tende ad estendersi a macchia d’olio — come si è visto in tanti paesi in tempi recentissimi —, e quando dilaga la disonestà dilagano gli svantaggi materiali per tutti. Poi, con un’ottica più profondamente antropologica, è facile capire che i vantaggi che si possono ottenere mediante una condotta immorale sono ben poca cosa rispetto alla perdita umana di chi agisce così: già Socrate sosteneva che è peggio perpetrare un’ingiustizia che subirla, e lo stesso ha sempre insegnato la dottrina cristiana.

    La Chiesa «pensa che occorra, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all’esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell’uomo. Il primato dato alle strutture e all’organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un’antropologia materialistica, ed è contrario all’edificazione di un giusto ordine sociale».

    Ciò non comporta la futilità dei mezzi e delle tecniche politiche, che sono imprescindibili. Ma sottolinea che essi, da soli, non bastano: occorre che siano accompagnati e, ancor meglio, preceduti dai mezzi e dalle tecniche morali e spirituali.

    Abbiamo già ricordato che l’egoismo è il più grande nemico di una vita sociale sana; ciò, perché l’amore disordinato per se stessi tende ad assolutizzarsi e a usare le cose e le persone per il proprio tornaconto fino all’abuso e alla sopraffazione.

      

    d) Necessità della formazione

     

    Quanto detto mette in luce la necessità di unire la formazione tecnico-politica con quella morale. Difatti, per tradurre l’impegno politico in un’azione efficace per lo sviluppo sociale, e per maturare una realistica capacità di iniziativa politica, la persona deve acquisire adeguate competenze tecniche e lucidità di discernimento, nonché le necessarie qualità morali.

    Nell’educazione politica dei fedeli occorre distinguere, di conseguenza, due livelli:

    Il primo può essere descritto come l’edificazione della personalità sociale, intesa come l’insieme delle qualità che rendono la persona in grado di assumere efficacemente l’impegno politico

    Il secondo livello è quello dell’educazione civile e politica, che va impartita diligentemente affinché tutti svolgano adeguatamente il loro ruolo nell’ambito delle comunità in cui sono inseriti.

    Poiché la dottrina sociale della Chiesa trova la sua forza più nella pratica che nella coerenza dei suoi principi, occorre che l’educazione sociale non rimanga soltanto al livello teoretico, ma mostri parimenti, e forse più insistentemente, i modi concreti di applicare tale insegnamento.

    Occorre quindi promuovere esperienze che consentano di tradurre gli orientamenti della dottrina sociale in termini concreti, all’interno di una matura unità tra vita morale e azione pubblica.

    In questo ambito è particolarmente importante non cedere al relativismo etico, e non confondere la giusta autonomia dei cattolici in politica con la disattenzione nei confronti dei valori etici umani e cristiani. Non si può favorire, anzi si deve contrastare «l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta» (Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 4). Anche in ambito politico l’intelligenza e la volontà umana sono costitutivamente orientate verso il vero e il bene e, di conseguenza, sono estranee allo scetticismo e al relativismo etico.

    Nella situazione odierna, con un pluralismo sovente affine al relativismo e all’indifferenza morale, occorre, oltre alla virtù della fortezza e a una solida personalità, un’intensa formazione e un profondo rinnovamento delle coscienze per compiere i peculiari doveri politici.

    È opportuno soffermarci un momento anche su un tema che viene riproposto oggi con una certa frequenza: alle volte si sente dire che i cattolici dovrebbero rinunciare alla propria dottrina quando agiscono in una funzione pubblica: ciò è illusorio e ingiusto. Illusorio, poiché le convinzioni di una persona — derivate o meno da una fede religiosa — influiscono necessariamente su quanto tale persona decide e su come agisce; ingiusto, perché i non cattolici — per quanto si è appena detto — applicano in questo ambito le proprie dottrine. Difatti, tutti i cittadini, siano o meno cristiani, hanno il diritto e il dovere di agire coerentemente con le proprie idee, rispettando le differenze e la dignità di ogni persona.

    Anzi, accantonare le proprie convinzioni nella vita politica, accademica, culturale, ecc., comporterebbe una mancanza di sincerità, che è una virtù indispensabile nei rapporti sociali.

     

    2.3. Il ruolo dei laici

     

    Tale missione ha un denominatore comune a tutti i fedeli, ma ognuno deve viverla in conformità con la vocazione ricevuta: sacerdote, religioso o laico. La funzione propria e specifica del laico, anche se non unica né esclusiva, è quella di contribuire alla santificazione delle realtà terrene quasi dall’interno. Tale “indole secolare” dei fedeli laici non si limita ad essere una realtà di fatto, ma è anche una qualità teologica ed ecclesiale; una qualità, cioè, che qualifica i rapporti che tali fedeli hanno con Dio nella Chiesa. Il fatto che l’indole secolare del laico sia di carattere teologico, implica che egli deve — mediante i suoi compiti nel mondo (familiari, politici, professionali, ecc.) — portare a termine quella parte di missione della Chiesa che a lui, in quanto  suo membro, corrisponde. Dio li chiama a vivere nel mondo e a compiere la loro missione cristiana (santità e apostolato) nelle loro mansioni terrene.

    A tal fine, occorrono — come già accennato — un’adeguata formazione e un serio impegno: «Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero» (GS 43).

    Tutti i cristiani godono di un’ampia libertà nel loro agire politico; ma non soltanto nell’agire: secondo l’insegnamento appena ricordato del Vaticano II, essi hanno la stessa autonomia per quanto riguarda gli ideali e i progetti da proporre in questo ambito. Anche per questo, nell’impegno di “cristianizzazione” della realtà politica, i laici non sono semplici esecutori, ma creatori di pensiero sociale.

     

     

    Conclusione

     

    Oggi si assiste a una crescente spoliticizzazione dei cittadini, che si manifesta con una indifferenza generalizzata verso i problemi che riguardano la società (a condizione che essi non ledano gli interessi personali). Il crollo delle ideologie, che va accolto con gioia, ha però portato con sé anche il crollo delle idee e degli ideali politici. L’uomo appare ipersensibile di fronte a ciò che lo riguarda personalmente e incredibilmente apatico nei confronti del bene comune. La causa principale di tale atteggiamento è forse la perdita di significato della vita personale e sociale, per cui le persone tendono a rifugiarsi nell’immediato e nell’effimero. Un’altra causa, non meno grave, va ricercata nel disincanto generato dall’immoralità privata e pubblica di molte persone e di tanti gruppi politici. In definitiva la spoliticizzazione di cui si parlava è dovuta, soprattutto, a cause morali e culturali. Una ragione in più per impegnarsi seriamente e con un alto profilo etico nell’ambito dell’attività politica.

    Occorre ribadire ancora che il cristiano coerente non può disinteressarsi di tale attività, non può essere succube della passività o della rassegnazione in questa sfera così importante per il bene di tutti gli uomini. La partecipazione alla vita politica è un diritto e un dovere, che ognuno dovrà assumersi a seconda delle personali competenze e delle proprie condizioni, ma senza cessioni né scoraggiamenti.

     

     

     

     

     

     

    SCHEDA di LAVORO

     

     

    1. Il diritto-dovere del cristiano all’impegno politico

     

    Tutti coloro che partecipano alla vita sociale, vale a dire tutti gli uomini, hanno il diritto e il dovere di impegnarsi in campo politico.

     

    1.1. Il punto di vista della Creazione e Redenzione

    Cristo ha redento tutto l’uomo, anche nel suo essenziale rapporto con gli altri e con la società. La realtà sociale naturale è stata assunta nel disegno redentore. La vocazione dell’uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo dovere e mandato – e il valore – di mettere in atto le energie e i mezzi per sviluppare la crescita umana.

    Il disegno del Creatore include la vita sociale degli uomini (cfr. Gn 2,18). Dio ha chiamato l’uomo a raggiungere la patria celeste tramite l’agire terreno; sicché tutte le attività umane indirizzate a far progredire questa vita corrispondono alle intenzioni del Creatore, e le persone devono compierle responsabilmente.

     

    1.2. Punto di vista della società

    Lo scopo precipuo della politica è il raggiungimento del bene comune. Il dovere di partecipare allo sviluppo del bene comune è un dovere differenziato a seconda del ruolo sociale di ognuno.

     

    1.3. Obbligatorietà dell’impegno politico

    Da ciò derivano il diritto e il dovere di impegnarsi per migliorare la vita pubblica, organizzandola in modo conforme alla dignità di ciascuna persona umana.

    È oggi un diritto ampiamente accettato nella società. Ma è anche un dovere, poiché libertà non significa soltanto mancanza di coazione o indifferenza nell’agire; la libertà è una formidabile energia, una fonte potenziale di progresso che non deve rimanere inattiva, né nelle singole persone, né nelle comunità e nei paesi.

     

     

    2. Elementi che favoriscono un corretto impegno politico

     

    2.1. Finalità dell’agire politico

    Il costante insegnamento della Chiesa è: lo scopo immediato della politica è quello di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Perciò la politica, ad ogni suo livello, non va considerata soltanto come un metodo per costituire, consolidare ed esercitare il potere pubblico; né va vista come una procedura tecnica per il buon andamento di quanto corrisponde alla natura, alla finalità, ai mezzi e alle forme di organizzazione dello Stato.

    La politica è soprattutto un servizio al bene comune, che necessariamente include il bene integrale di ogni persona appartenente ad una determinata società.

     

    2.2. I mezzi dell’impegno politico

     

    a) Dimensione morale della politica

    Il primo “mezzo” dell’attività politica è quello di salvaguardare la sua dimensione morale.

    Infatti, «è nella persona umana, intesa nell’integralità dei suoi diritti e doveri, che deve trovarsi la base di partenza, il punto di incontro e il criterio deontologico per l’agire politico o per agire in politica. Il primato e la centralità della persona umana relativizzano ogni sistema politico e la stessa politica, sottolineandone vigorosamente il carattere funzionale e di servizio».

     

    b) Impegno politico e coerenza cristiana

    La fedeltà morale trova un sostegno particolarmente valido nella vita cristiana: essa insegna l’intera verità sull’uomo e sorregge saldamente la condotta morale delle persone. Perciò la fede si rivela un aiuto di prim’ordine. Le motivazioni religiose della Redenzione annunciata dalla Chiesa possono non essere condivise, ma l’atteggiamento etico che ne deriva costituisce uno dei cardini comuni più forti attorno ai quali si può sviluppare lo sforzo dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà per un cammino da compiere insieme.

     

    c) Inefficacia del comportamento onesto?

    Esiste una diffusa ammirazione, non sempre confessata, per coloro che, comportandosi in modo disonesto negli affari pubblici, tuttavia “la fanno franca”. Parallelamente si ritiene spesso che in ambito pubblico, soprattutto in quello politico, un comportamento onesto non risulti efficace. Da ciò nasce non soltanto l’idea che la politica sia sempre un “affare sporco” — il che accresce la disaffezione per questo ambito —, ma anche la pretesa di giustificare tale comportamento.

    La Chiesa «pensa che occorra, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all’esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell’uomo. Il primato dato alle strutture e all’organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un’antropologia materialistica, ed è contrario all’edificazione di un giusto ordine sociale».

     

    d) Necessità della formazione

    Quanto detto mette in luce la necessità di unire la formazione tecnico-politica con quella morale. Difatti, per tradurre l’impegno politico in un’azione efficace per lo sviluppo sociale, e per maturare una realistica capacità di iniziativa politica, la persona deve acquisire adeguate competenze tecniche e lucidità di discernimento, nonché le necessarie qualità morali.

    È opportuno soffermarci un momento anche su un tema che viene riproposto oggi con una certa frequenza: alle volte si sente dire che i cattolici dovrebbero rinunciare alla propria dottrina quando agiscono in una funzione pubblica: ciò è illusorio e ingiusto. Illusorio, poiché le convinzioni di una persona — derivate o meno da una fede religiosa — influiscono necessariamente su quanto tale persona decide e su come agisce; ingiusto, perché i non cattolici — per quanto si è appena detto — applicano in questo ambito le proprie dottrine. Difatti, tutti i cittadini, siano o meno cristiani, hanno il diritto e il dovere di agire coerentemente con le proprie idee, rispettando le differenze e la dignità di ogni persona.

     

    2.3. Il ruolo dei laici

    Tale missione nell’attività politica è un denominatore comune a tutti i fedeli, ma ognuno deve viverla in conformità con la vocazione ricevuta: sacerdote, religioso o laico. La funzione propria e specifica del laico, anche se non unica né esclusiva, è quella di contribuire alla santificazione delle realtà terrene dall’interno.

     

     

    Conclusione

     

    Tutti i cristiani godono di un’ampia libertà nel loro agire politico; ma non soltanto nell’agire: secondo l’insegnamento appena ricordato del Vaticano II, essi hanno la stessa autonomia per quanto riguarda gli ideali e i progetti da proporre in questo ambito. Anche per questo, nell’impegno di “cristianizzazione” della realtà politica, i laici non sono semplici esecutori, ma creatori di pensiero sociale.

    Posted by attilio @ 18:06

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