A. Introduzione
Nel periodo post-conciliare abbiamo assistito ad un notevole rifiorire di attenzione alla Parola. Sono nati un po’ dovunque tentativi di «rimettere mano alla Parola»… ma quanta fatica!
In qualche modo ci ritroviamo un po’ tutti nella situazione di dover imparare a metterci in ascolto di fronte alla Parola, per lasciare che la nostra vita ne sia trasformata. Spesso ci sentiamo proporre cammini in cui si «prega la Parola», si «contempla la Parola». Questo breve lavoro che condivido con gli altri amici di Qumran.net è una sintesi di un corso di iniziazione alla lectio che ho già avuto occasione di proporre a giovani, a religiosi in formazione e… alla mia comunità.
«Appunti» perché ho pensato di proporre uno schema, pratico e snello, pur cercando di mantenere una certa completezza. In ogni caso trovate in appendice due bibliografie, una molto più ricca, aggiornata al 2002, e un’altra «essenziale», con indicazioni critiche per ogni testo.
«Una»: non ho certo la pretesa di dira «la»! È “una” proposta che si fonda sulla tradizione, “testata”, ma rimane una proposta.
«Iniziazione» e non introduzione: può sembrare una distinzione accademica, ma non lo è. Introduzione ha più il sapore di uno studio intellettuale, ma nella lectio divina è tutta la persona umana che è in gioco, perché è “preghiera”, è porci di fronte a Dio. «Iniziazione» dà più il senso di cammino, di un mettersi accanto ad un altro, fornirgli alcune indicazioni e poi lasciare che percorra la sua strada, come e dove lo Spirito lo condurrà.
Quanto condivido con ciascuno di voi… è anche frutto di riflessione, di cammino comunitario. La lectio divina vissuta insieme (e poi darò alcune indicazioni in merito) ha decisamente favorito la crescita umana e spirituale mia e della mia comunità: un tale dono non poteva che essere condiviso.
B. premesse generali
1. Oggetto
È la Scrittura «divina»: la Bibbia. Per essere “certi” di questa affermazione si può leggere la Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II.
2. Finalità
Dai testi conciliari, che parlano della lectio divina in termini tradizionali, emergono quattro finalità: teologale, cristologica, ecclesiale ed antropologica.
1) Teologale: «perché avvenga il colloquio con Dio» (DV 25).
2) Cristologica: «per ottenere la sovreminente conoscenza di Gesù Cristo» (Fil 3,8 citato in DV 25 e PC 6), per poter «vedere il Cristo in ogni uomo, vicino o estraneo» (AA 4).
3) Ecclesiale: per «generare» (Gc 1,18; 1Pt 1,23; cf. At 2,37.42), «sostenere» (DV 21) e «far ringiovanire» (LG 4) una comunità cristiana (cf. PO 4) e religiosa (cf. PC 15 [a]). Questo scopo si ottiene tanto meglio quando la lectio privata si sviluppa nella forma comunitaria della collatio.
4) Antropologica: «perché l’uomo di Dio sia perfetto, preparato per ogni opera buona» (2Tim 3,16). La Sacra Scrittura è la fonte da cui attingere i criteri per «giudicare rettamente le cose in ordine al fine dell’uomo» (AA 4). (Giurisato G., Lectio divina oggi, pp. 7-9).
3. Condizioni richieste dalla qualità specifica del libro sacro
1) La Bibbia è un libro ispirato da Dio: perciò «deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (DV 12).
2) Nella Bibbia «Dio ha parlato per mezzo di uomini e alla loro maniera»: perciò «si deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi realmente hanno inteso dire e che cosa Dio ha voluto manifestare con le loro parole» (DV 12).
4. Disposizioni soggettive del lettore
– Pregare perché il Signore ci voglia «aprire la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,45)
Non ci mettiamo di fronte alla Scrittura come ad un altro libro. Riconosciamo che essa è stata ispirata dallo Spirito Santo e allora per comprenderla c’è sì tutto il nostro sforzo, una “santa fatica”, ma a ben poco potrebbe se lo stesso Spirito non ce ne dà una comprensione più profonda.
Siamo così chiamati ad esplicitare la nostra professione di fede: «le Sacre Scritture sono veramente parola di Dio» (DV 24). Un atteggiamento di fondo di fede e umiltà.
– Lettura assidua
Quando un libro ci ha appassionato, rimane nella nostra mente, anzi spesso vi torniamo per rileggerlo. Ma la Bibbia usa un linguaggio lontano dalla nostra cultura, dal nostro quotidiano. Si tratta dunque di acquisire una certa familiarità con il testo biblico, ma come fare? Diverse sono le possibilità. La prima è quella di cominciare a leggerla, anche se non si capisce tutto: su Internet sono già stati pubblicati diversi schemi per leggere tutta la Bibbia in un anno. Esistono in commercio almeno due edizioni con un notevole apparato critico: la Bibbia di Gerusalemme (BJ) e la TOB che hanno una grande ricchezza di note e di rimandi. La seconda consiste nel “navigare” da un punto all’altro della Bibbia, seguendo queste note o rimandi. Non c’è la praticità del mouse o dei “clic” sui link, ma ne vale la pena… anche se all’inizio può essere un po’ faticoso. «La Scrittura spiega la Scrittura».
– Imparare ad ascoltare la Parola
Parlare di ascolto della Parola significa far riferimento immediato al silenzio, ma questa dimensione è comune ad ogni ascolto umano. L’ascolto esige silenzio, attenzione, presenza all’altro e quant’altro è necessario perché ci sia un reale dialogo. Il rischio in questo caso è di parlare noi… e lasciare la Parola estranea, così che al termine della lectio ce ne andiamo esattamente come eravamo arrivati.
5. Circa il luogo, il tempo e la durata della lectio divina
Il luogo dove svolgere la lectio deve essere tale da favorire un clima esterno di silenzio, di raccoglimento e di preghiera. Per questo va cercata una cappella o un ambiente adatto allo scopo, dove ci si trovi a proprio agio. Questo sarà il luogo della lotta di ognuno con il suo cuore, il vero deserto dove il Signore ci parla, ci converte, ci educa e ci attira a sé.
Anche il tempo da riservare alla lectio riveste la sua importanza per l’assimilazione della parola di Dio: esso deve ritmare la vita del cristiano, senza mai stancarlo (cfr. Lc 18,1-8; 1Ts 5,17). Perché una lettura della Parola sia proficua si esige un tempo determinato di almeno mezz’ora, mentre il tempo dello svolgimento della lectio non è definibile: non si incontra mai un amico tenendo lo sguardo sull’orologio!
È anche importante e necessario che non avvenga in modo sporadico o occasionale, ma quotidiano.
6. Le difficoltà
Oggi tendiamo a leggere velocemente; la civiltà moderna esige velocità nella stessa lettura, la quale è soprattutto “informativa”, tende a far sapere il maggior numero di cose nel minor tempo possibile: la lectio divina, invece, deve essere lenta. La lettura che cerca di acquistare nuove conoscenze lo vuole fare nella maniera più veloce: la lectio divina, al contrario, è a base di “ruminazione”, cioè della lenta assimilazione del testo letto.
Si legge per agire, ci si documenta in vista dell’azione, la lettura guarda all’efficacia, all’efficienza: la lectio divina, invece, deve essere disinteressata.
Infine, la lectio non è una lettura per distrarsi: è invece una lettura impegnata, in cui uno si sente realmente e direttamente coinvolto.
Altra difficoltà: non dimentichiamo che la S. Scrittura non sempre è così facile o immediata; richiede una certa preparazione, studio, e quindi tempo.
Aggiungiamo tutte le difficoltà per raccogliersi, per concentrarsi. Per riuscire in questo, ci vuole sforzo continuo, fatica, allenamento. C’è tutto il problema di una certa preparazione alla preghiera e alla lectio divina: una preparazione remota, che comprende tutta la vita, uno sforzo di coerenza alla propria vocazione, l’evitare una eccessiva agitazione e dissipazione nel lavoro o nella vita quotidiana; una preparazione prossima, per stabilire pace e silenzio in noi stessi, oltre che all’esterno…
C. L’invocazione dello Spirito Santo
Il perché di questa preghiera allo Spirito lo abbiamo già visto nelle premesse generali.
Quale preghiera? Possiamo utilizzare un salmo, anche solo alcuni versetti: per esempio il salmo 118, che è il salmo per eccellenza dell’ascolto della Parola. Ma possiamo fare nostre altre invocazioni tratte dalla Scrittura, dalla Liturgia, dai Padri della Chiesa, ecc. È chiaro che può essere anche una “nostra” preghiera!
Vari sono gli effetti di questa invocazione allo Spirito.
La preghiera allo Spirito, anzitutto, ci preserva dal consumismo privatistico della Parola o da una sua interpretazione soggettiva ed arbitraria, che misconosce la realtà stessa della Parola nella Chiesa.
Inoltre, in positivo, essa produce, in chi si pone in preghiera dinanzi alla Scrittura, il distacco da noi stessi, la purezza del cuore, la conversione alla Parola, la docilità, realtà che lo rendono libero per accogliere con amore il pensiero di Dio.
Si determina così una consapevolezza di umiltà profonda, che fa andare incontro al testo con un senso del sacro, di riverente adorazione di fronte al mistero e di docilità, frutto di una collaborazione tra la volontà umana e l’azione dello Spirito.
D. Lectio
Studiare la Scrittura è stato per tante generazioni di cristiani (non solo monaci!) il vero e proprio impegno quotidiano. La fedeltà nel perseguire questo significato letterale della parola di Dio è una delle costanti necessarie alla autentica lectio divina. È una fatica, certo, ma non la si può evitare: il rischio è quello di fare delle “pie meditazioni”, “letture spirituali”, quando non le facciamo dire di tutto, anche quello che la Scrittura non dice!
1. Ancora una piccola premessa
Alla lectio, ma in un momento decisamente antecedente, si deve premettere la lettura di un commento esegetico al testo che sarà poi oggetto della lectio. Uno strumento molto buono, e semplice, potrebbe essere: AA.VV, I Vangeli, Cittadella editore.
Con questo primo passo della lectio divina ci lasciamo liberare da una “tentazione”: soprattutto quando il testo è tratto dai vangeli questo è abbastanza conosciuto. Il rischio è di sentire (e non “ascoltare”) la prima frase e poi “disconnetterci” in quanto “sappiamo già come va a finire!”. Un esempio? Se sentiamo leggere «Un uomo scendeva da Gerusalemme» noi sappiamo già che si tratta della parabola del buon samaritano e rischiamo di non “ascoltare” salvo poi ricollegarci all’omelia…
2. Che cosa leggere
Senz’altro la Scrittura! Ma come? Quanta?
La liturgia è senz’altro una buona “palestra” e ci dà – secondo la saggezza della Chiesa – il “cibo quotidiano”, ma… c’è un rischio. Se, necessariamente, la liturgia ci propone dei brevi brani, la lectio non può prescindere dal loro contesto.
Detto questo, si può certo usare il lezionario liturgico della Messa [rapporto liturgia – LD] con particolare attenzione – per iniziare – al vangelo del giorno (non dimentichiamo – ad esempio – le “collette” proprie dei tempi forti, delle domeniche o delle solennità: sono teologicamente ricchissime e ci donano alcune piste di lettura), ma per passare in seguito alla lectio di un libro della Scrittura, iniziando sempre dal Nuovo Testamento.
Non è mai, comunque, questione di “quantità”.
3. Come leggere
– Leggerlo attentamente più volte
Ma come leggere?
a) È bene leggere ripetutamente il testo e possibilmente farlo risuonare al nostro orecchio mediante una lettura ad alta voce. La lettura del Libro è in funzione dell’ascolto della Parola viva, propria della relazione interpersonale.
b) Impariamo a leggere «con la matita in mano»: sia per sottolineare, ma anche per copiare.
c) Facciamo anche la fatica di “sfruttare la fatica altrui”: sfruttiamo la fatica degli esegeti che hanno lavorato per fornirci di seri apparati critici (cfr. ancora BJ e TOB).
d) La lectio divina suppone una conoscenza esatta del testo biblico, anche se non si ferma ad essa, ma la utilizza per la preghiera. Certamente si riferisce a questa serietà intellettuale la Dei Verbum, quando afferma che occorre accostarsi alla Sacra Scrittura «con uno studio accurato» (DV 25). È necessario ed utile utilizzare i risultati delle ricerche esegetiche. [Queste vanno lette prima della lectio, magari la sera prima, dopo aver letto il testo che ascolteremo il giorno dopo nella celebrazione eucaristica]
Può esserci di aiuto:
– impararlo a memoria
– trascriverlo
Personalmente consiglio molto quest’ultimo modo: la trascrizione ci aiuta a concentrarci meglio e a fissare l’attenzione sul testo.
4. Analisi del testo
– Facciamo molta attenzione ai vocaboli
ai verbi
– può essere molto utile la conoscenza del greco o l’aver sottomano un’altra traduzione diversa da quella della CEI: questo ci permette di “appropriarci” meglio del testo e di cogliere sfumature che nella traduzione si sono perse.
Impariamo a farci alcune domande:
– quali sono i personaggi che troviamo nella pericope
– dove si svolge l’azione
– quando
– che cosa fanno i personaggi
verbi (atteggiamenti)
avverbi (sentimenti)
aggettivi (qualità)
– cerchiamo quella che per noi è l’affermazione principale, la “parola chiave”, quello che per noi è «nucleo». Sarà questa che dovremo portarci nel cuore durante la giornata.
E se il testo è tratto da una lettera di san Paolo? Dobbiamo conoscere, almeno discretamente, l’epistolario paolino e la struttura della lettera dalla quale è stato tratto il testo.
Anche in questo caso possiamo porci delle domande:
– a chi scrive Paolo e perché
– in che momento della sua vita (cf. gli Atti)
– qual è il nucleo del testo
5. Il “nucleo”
Durante e dopo la attenta lettura, emerge ai nostri occhi il “nucleo”, o – comunque – quella parola o quella frase che emergono come “centrali” per noi.
Ora, si può dedicare più attenzione alle note e ai rimandi relativi al “nucleo”. Questa operazione permette di cogliere qualcosa in più del significato del testo biblico. In caso di necessità lo si può approfondire sul Dizionario di teologia biblica o sul Dizionario dei concetti biblici.
6. Dalla lectio alla meditatio
Ora, la frase o parola, il “nucleo”, può essere imparata a memoria. Questo è l’anello di congiunzione tra lectio e meditatio. La preghiera non è una serie di cassetti “a tenuta stagna”… Il passaggio dalla lectio alla meditatio, alla oratio può avvenire in modi e tempi diversi, secondo la nostra accoglienza e il dono dello Spirito.
E. Meditatio
1. Cos’è la meditatio?
«Per gli antichi – ci ricorda J. Leclercq – meditare è leggere un testo e impararlo a memoria nel senso più forte di questo atto, cioè con tutto il proprio essere: con il corpo poiché la bocca lo pronuncia, con la memoria che lo fissa, con l’intelligenza che ne comprende il senso, con la volontà che desidera metterlo in pratica».
Tale ripetizione è in funzione della memoria: «Ne deriva più che una memoria visiva delle parole scritte, una memoria muscolare delle parole pronunciate, una memoria uditiva delle parole ascoltate. La meditatio consiste nell’applicarsi attentamente a questo esercizio di memoria totale; essa è dunque inseparabile dalla lectio. Essa inscrive, per così dire, il testo sacro nel corpo e nello spirito».
Ai nostri giorni quando si usa il termine “meditazione” si intende un processo di riflessione. Bisogna allora comprendere bene cosa si intende come meditatio nella lectio divina.
Abbiamo visto che durante la lectio la nostra attenzione (il nostro cuore!) si è fermato su una frase, una parola e abbiamo fatto lo sforzo di memorizzarla. Se la lectio assomiglia a uno “scavo archeologico”, la meditatio avvicina e applica a noi il testo antico: la meditatio comporta l’assimilazione personale della parola di Dio, così da diventare in noi sorgente di preghiera e di contemplazione.
Il ripetere dentro di noi la parola / la frase che è per noi “il nucleo”
a) è dare realmente uno “spazio” alla Parola dentro di noi;
b) aiuta a concentrarci lasciando che questo “nucleo” si arricchisca di altri passi che ci aiutano a comprenderlo sempre meglio e più profondamente;
c) è preghiera.
In questa “navigazione” è buona cosa rimanere all’interno del vangelo, della lettera (o dell’epistolario) o del libro dell’AT da cui è tratto il brano. Gli evangelisti, Paolo, Giovanni, si sono avvicinati al mistero di Dio in un modo complementare a quello degli altri. Prima di cercare i vari paralleli è importante rimanere all’interno degli scritti dell’autore per capirne meglio il pensiero.
Stiamo inventando qualcosa di nuovo? No: si tratta di una antica tradizione antica, che troviamo anche nella Bibbia:
«Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (cf. Dt 6,6-9)
Si tratta anzitutto di creare nell’intimo del cuore uno spazio elastico di risonanza, perché la Parola penetri nelle zone più profonde dello spirito e tocchi le fibre più intime: questo ci trasformerà, ci chiamerà continuamente a conversione, ci metterà in crisi. E forse ci metterà anche in crisi la continua novità di Dio e della sua Parola che ci conducono dove non avremmo mai pensato!
Siamo e rimaniamo nella totale gratuità. Ma sia ben chiaro: la preghiera della Parola – proprio perché tale – non ci distacca dai fratelli. Piuttosto non ci permette di inabissarci nel turbinìo delle nostre fantasie, in balia degli alti e bassi degli umori.
La meditatio all’inizio esige anche uno sforzo della volontà che deve trovare spazi di tempo e concentrazione per mettersi alla presenza della “parola”.
Sarebbe opportuno meditare con penna e foglio… Tuttavia non è meditare scrivere per far leggere o per pubblicare. È meditazione lo scritto fatto in solitudine che genera ulteriore silenzio adorante in noi ed attorno a noi.
F. Oratio
Il testo conciliare, che invita «tutti i fedeli» a praticare la lectio divina, conclude dicendo:
«Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché quando preghiamo parliamo con lui, lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini» (DV 25).
Su questa citazione si devono fare tre rilievi.
Primo: il termine «lettura» riassume i due momenti trattati fin qui della lectio e della meditatio, perché in fondo costituiscono un unico atteggiamento di ricezione: ascoltare Dio che parla.
Secondo: la lettura «dev’essere accompagnata dalla preghiera», perché dopo l’ascolto è necessario dare una risposta.
Terzo: solo quando si dà questa risposta si ottiene lo scopo della lectio divina, cioè che «possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo». Alla lectio divina manca una parte essenziale finché non si connette «Bibbia e preghiera», finché la Parola non è pregata. La frase finale del testo conciliare è una citazione di sant’Ambrogio, che riflette un pensiero tradizionale e mette in risalto i due tempi del colloquio con Dio.
Tutta la lectio divina è preghiera. Allora, che cos’è l’oratio all’interno di essa?
È il momento in cui dialoghiamo con Dio con la Parola che ci ha donato. Vogliamo un esempio? Pensiamo al Magnificat: Maria canta questo inno… “mosaico di Parola”. Come possiamo vedere nelle nostre Bibbie, vengono messe in evidenza, in corsivo, le citazioni dell’A.T.: ben poco rimane in tondo!
È quindi un momento privilegiato di dialogo con Dio. Prima è stato Lui ad aver parlato attraverso la Sua Parola, noi abbiamo lasciato scendere nel profondo il suo richiamo mediante la meditazione di essa ed ora siamo pronti a “dire” la nostra fede e il nostro amore.
È il grido dello Spirito in noi che può esprimersi in mille modi. È il nostro rivolgersi a Dio dopo aver colto il frutto dell’ascolto. La preghiera non si preoccupa, a questo punto, di farsi domanda o lode o ringraziamento o adorazione, ecc… È un unico movimento dell’anima che si apre a Dio; è il lasciar sgorgare dal profondo la ricchezza di ciò che vi si è raccolto stando davanti a Lui. Ciò che realmente conta è il desiderio di risposta ad un amore, quello di Dio, che è diventato propria esperienza nella fede, in relazione alla Parola letta, meditata, pregata.
Anche in questo momento, possiamo scrivere le nostre preghiere tenendo ben presente quanto detto per la meditatio: è per noi e per Dio, non per divulgare o pubblicare.
Rileggendo questi testi a distanza di tempo… avremo delle grandi sorprese.
G. Contemplatio
La lectio divina è riconosciuta come un cammino verso la contemplazione. Ancora una volta intenderci sui termini: contemplare non è meditare, non è riflettere, non è pregare… Ma che cos’è allora?
Il mistero di Dio che si rivela esige umiltà nel parlarne. Per alcuni secoli fino alla prima metà del secolo scorso veniva accusato di arroganza ci desiderava contemplare Dio. Questo perché non si distinguevano quelle che la teologia chiama “grazie mistiche speciali”, in cui troviamo, per esempio, le visioni.
La contemplazione è invece secondo i Padri il “normale” sviluppo della lectio perché il primo a volersi rivelare è proprio Dio!! Dunque, non è qualcosa che viene a sovrapporsi come dall’esterno, ma è come un frutto squisito che matura sul tronco stesso della lettura biblica. Frutto normale: a condizione che non si prenda il termine – mi ripeto!! – come l’espressione di grazie mistiche straordinarie. C’è infatti una contemplazione che è alla portata di tutti e che è il coronamento normale di un cristianesimo preso sul serio.
Con queste premesse, è evidente che prima di tutto è dono, assoluto e gratuito dono di Dio che si fa conoscere da noi. Noi possiamo chiedere di contemplare il suo volto, ma poi… possiamo solo attendere e desiderare.
Essendo dunque dono gratuito di Dio… non può esistere un manuale di istruzioni sul come fare. Possiamo però provare a dire qualcosa sul che cos’è la contemplazione.
La sua fonte è biblica: è un «elevarsi dell’anima» che parte dalla lettura della parola di Dio. Il Concilio si esprime così:
«Questa Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura dell’uno e dell’altro Testamento sono come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina sulla terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com’egli è» (DV 7).
Perciò si distingue da qualsiasi speculazione filosofica e naturalistica.
La Bibbia non usa i termini contemplazione e contemplare, ma preferisce i verbi conoscere, vedere e soprattutto ascoltare, che è il verbo più usato nell’AT.
La contemplazione cristiana non è un’introspezione psicanalitica, né una capacità visionaria; ma attinge dal di fuori il suo oggetto che entra, più che per l’occhio, per l’orecchio: attraverso l’ascolto o la lettura della Parola.
2) Il suo culmine è assaporare la rivelazione divina: «gustare le gioie della dolcezza eterna». Nella tradizione latina contemplare e sapere sono sinonimi. È contemplazione ogni volta che con la lampada della Parola (cf. Sal 119,105) si coglie il piano sapienziale di Dio, nel suo insieme o sotto qualche aspetto particolare.
3) Il suo obiettivo è Dio: l’anima si eleva al di sopra di sé, «rimanendo come sospesa in Dio». Non si tratta di una conquista dal basso, affidata alle forze della ragione. Dio è al di là di ogni immaginazione umana. Nella pienezza dei tempi «ha deciso di entrare in modo nuovo e definitivo nella storia umana inviando a noi il suo Figlio» (AG 3), «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15).
La contemplazione cristiana quindi non è speculazione o introspezione, ma apertura a una realtà oggettiva, storica. Uno dei testi più luminosi al riguardo sta nel prologo della prima lettera di Giovanni, dove l’esperienza contemplativa degli apostoli ha per oggetto la rivelazione storica della vita divina in Cristo (“ciò che”: 1Gv 1,1-3).
Nella lectio divina la contemplazione consiste nel fissare lo sguardo e il cuore in Dio, quale si rivela nella storia, e nel vedere la storia alla luce della parola di Dio. La lectio divina diventa una scuola dove imparare a «pensare secondo Dio» (Mt 16,23), a interpretare ogni situazione secondo «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Con tale esercizio l’occhio è spinto a vedere sempre più tutte le cose nello stadio definitivo, secondo il compimento escatologico.
Possiamo far riferimento al termine utilizzato in greco per indicare contemplazione: theoria, e significa vedere, andando dentro a ciò che si osserva. Ora il punto di riferimento di questo termine greco, theoria, è, nella tradizione cristiana, uno soltanto: il Cristo crocifisso. San Luca adopera per l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento il termine theoria solo per indicare questa visione di Cristo crocifisso.
Per i Padri antichi questo significa che colui che ha il dono della theoria, della contemplatio, è sempre uno che ha davanti a sé il mistero del Cristo crocifisso come asse portante della storia, come la Parola che tutta la storia ha rivelato e rivela. In questo caso il contemplativo sarebbe allora colui che guarda tutto a partire da questa visione del Cristo crocifisso, un uomo che vede in tutte le pieghe della storia umana e del mondo l’annunzio e la manifestazione del Cristo crocifisso.
Anche in questo caso vediamo però che il cristiano contemplativo non è fuori dalla storia e non si riferisce a cose esterne alla storia, ma è colui che è nel cuore della storia, è colui che si riferisce al cuore stesso delle cose e degli avvenimenti.
E là dove gli occhi dell’uomo vedono soltanto uno sfiguramento di volto umano, gli occhi della fede vedono la riconciliazione nel Signore, nel Figlio di Dio crocifisso per l’uomo. Quindi l’annunzio che porta il contemplativo è anche qui un annunzio di pace, è una bella notizia che parte come da fonte di grazia dal Cristo crocifisso.
Ovviamente tutto questo in prospettiva della notte di pasqua. È questa la visione del contemplativo. Educato alla scuola della parola di Dio, egli sa benissimo che il Signore non permetterà che il suo santo veda la corruzione. Il Signore non permetterà che l’ultima parola sia detta dal male, dal peccato alla morte. Perché, proprio quando raggiunge la profondità dell’abisso del male, proprio lì il contemplativo sa che il Signore risponderà al grido d’aiuto che sente uscire dall’uomo.
Alla radice della contemplazione, in tutte queste forme, c’è in concreto la trasfigurazione determinata nell’uomo dalla sua conformazione alla parola di Dio.
H. Collatio
1. Che cos’è
La collatio è condivisione vitale di quanto Dio ci ha donato di vivere nella lectio.Non è dunque un’omelia o una dotta dissertazione sul testo… ma è consegnarci reciprocamente gli uni gli altri.
È un momento molto delicato. È bene che ci sia qualcuno che aiuti il gruppo a rimanere in un clima di preghiera, di ascolto.
S. Basilio (sec. IV, Epistola I, 2, 5, PG 32, 229), che doveva avere molta esperienza di vita comune, ci dona alcune note che mi sembrano utili per una collatio:
«Parlare conoscendo l’argomento,
interrogare senza voglia di litigare,
rispondere senza arroganza,
non interrompere chi parla se dice cose utili,
non intervenire con ostentazione,
essere misurati nel parlare e nell’ascoltare,
imparare senza vergognarsene,
insegnare senza prefiggersi alcun interesse,
non nascondere ciò che si è imparato dagli altri»
I. E al termine?
Nella lectio comunitaria, chi ha guidato la collatio può spendere qualche minuto per sintetizzare – a beneficio di tutti – i significati principali emersi nella collatio stessa. Questa sintesi può essere proposta anche come preghiera finale. La conclusione può essere affidata ad un canto.
Nell’esperienza personale, si può terminare con un salmo, con la preghiera sgorgata nella oratio. In ogni caso si faccia in modo che il ritorno alle occupazioni avvenga con calma.