Il nome Yoseph significa «Dio aggiunga»: nome ben augurante per un uomo che attende una prosperità numerosa. Sarà vero anche per il nostro Giuseppe?
Il suo lavoro è quello comune di un buon carpentiere, mestiere che insegnerà al figlio Gesù, che sarà conosciuto come «il carpentiere» (Mc 6,3).
Nel vangelo più antico, quello di Marco, Giuseppe non è mai nominato.
Giovanni gli dedica solo due citazioni indirette (1,45; 6,42).
Matteo e Luca non gli mettono in bocca una parola.
Anche il suo appellativo più comune non è quello di «marito» di Maria, ma il più casto di «sposo».
Anche e soprattutto nei riguardi della sua funzione di padre di Gesù la sua funzione è stata ridotta all’essere un padre semplicemente “putativo” ovvero “apparente”.
Anche l’arte non ha fatto un servizio migliore: ce lo ha rappresentato come un buon vecchietto i cui ardori giovanili sono solo un ricordo, e con lo sguardo un po’ perso nel vuoto di chi non si raccapezza.
Ci ritroviamo con un Giuseppe declassato in un’esistenza opaca: sposo senza moglie e padre senza figlio.
Il testo a cui faremo riferimento per la nostra meditazione è quello relativo alla nascita di Gesù come viene narrata da Matteo.
Il genere letterario del racconto è quello tipico degli “Annunci”.
La figura centrale del racconto è appunto quella di Giuseppe, presentato nella sua fatica a discernere la volontà di Dio sulla sua vita. E’ la contropartita dell’annunciazione a Maria (cfr Lc 1,26-38).
v. 18:
Nella legge giudaica con il fidanzamento, che avveniva dinanzi a testimoni, il contratto matrimoniale era già stipulato.
La donna aveva generalmente dodici anni. L’uomo intorno ai diciotto.
Il matrimonio avveniva in due fasi: lo sposalizio e le nozze.
Al termine della cerimonia dello sposalizio, che aveva come scopo il concordare la dote della sposa, lo sposo pronunciava la formula: “Tu sei mia moglie”, e la donna rispondeva: “Tu sei mio marito”. Da quel momento erano effettivamente sposati pur continuando a vivere nelle rispettive case.
La festa nuziale, con cui la sposa veniva introdotta nella casa del marito, intercorreva invece generalmente dopo un anno. Nel caso nascesse un figlio nel periodo intermedio era considerato a tutti gli effetti figlio legittimo.
E’ nel periodo intermedio tra lo sposalizio e le nozze che Maria si trova incinta “per opera dello Spirito santo”. Per Maria vi è un annuncio in cui viene chiarito il suo ruolo, e risolte le sue difficoltà. (cfr Lc 2).
Come Giuseppe si sarà posto dinanzi alla gravidanza di Maria? Maria avrà parlato a Giuseppe, raccontandogli la sua esperienza? Probabilmente sì, ma come Giuseppe avrà reagito alle sue parole?
Attraverso la contemplazione possiamo ipotizzarle: stupore? Preoccupazione? Ansietà? Dubbi? Perplessità? Gioia? Entusiasmo?…
Possiamo intuire un cammino faticoso di Giuseppe nell’accoglienza di questo fatto: sarà passato da un sospetto iniziale, ad uno sconcerto, un disorientamento?
Giuseppe vive la fatica di non riuscire a comprendere, a capire, non solo il fatto di Maria ma il senso della sua presenza in tutta questa faccenda.
Quanto tempo sarà durato questa stato di cose incerto e sofferto?
Noi cosa faremmo al posto di Giuseppe? Come reagiremmo?
v. 19:
Il testo prosegue presentando un Giuseppe che tenta una soluzione. Come d’altronde tenta diverse soluzioni Abramo nei confronti dell’attualizzarsi della promessa. La sua quasi decisione è di farsi da parte in una situazione in cui non comprende il suo ruolo: questo comporta riconsegnare Maria al progetto che Dio ha su di lei.
Matteo ci descrive Giuseppe che in questa decisione agisce nella sua qualità di uomo “giusto”.
Ma di che giustizia si tratta?
Non è la giustizia ossequiosa alla legge avrebbe prescritto a Giuseppe di ripudiare pubblicamente la moglie infedele. Non si tratta di una giustizia costituita solo da bontà, che detta un semplice atto misericordioso di ripudio segreto.
Siamo forse di fronte ad una giustizia del tutto diversa: Giuseppe è l’uomo “giusto” timorato di Dio che di fronte al mistero che si sta compiendo nella sua sposa sente di non essere più al posto giusto, egli desidera mettersi in disparte.
E’ giusto non perché stende un pietoso velo su Maria, ma perché non osa intromettersi in un mistero che lo sorpassa e che non riesce a comprendere.
Si sente un “anawim”, egli ne fa parte, si sente piccolo, povero, timorato di Dio. E’ la giustizia degli “anawim”, di cui anche Zaccaria ed Elisabetta fanno parte (Lc 1,6).
Egli pensa dunque di trarsi da parte, non vuole assolutamente attentare al vincolo matrimoniale.
E neanche Maria può chiarirgli più di tanto il mistero in cui sono coinvolti, anch’essa vi entra come in un pellegrinaggio oscuro.
La crisi di Giuseppe è tutta imperniata in funzione del chiarimento della sua missione.
E’ qui che emerge Giuseppe in tutta la sua vera valenza! Un uomo che cerca, che si interroga, su quale è il suo compito nella vita.
v. 20:
Matteo ci descrive dunque un Giuseppe che si interroga dolorosamente su cosa fare, per quale scelta optare. Non è soddisfatto della decisione che sta per prendere, ovvero di rimandare in segreto Maria: è perciò inquieto, rimugina nel sonno la sua difficile situazione.
Matteo ci presenta un Giuseppe che viene raggiunto dalla Parola di Dio nel sonno, o meglio nel sogno. Il sogno nella cultura orientale è veicolo di trasmissione della rivelazione divina (cfr Gn 15,12; 37,5;…). Perché proprio nel sogno? Nella veglia ci si difende, censurando ciò che non si vuole. Nel sonno invece esce tutto in libertà. Il “giusto”, con il suo cuore libero, è aperto ai sogni di Dio: la sua parola può parlargli anche nel sonno delle altre parole. Il sogno come la nuce e il fuoco è elemento etereo che esprime più chiaramente la presenza di Dio.
La parola raggiunge Giuseppe nel silenzio del suo ascolto.
Il Signore sa che Giuseppe ha bisogno di una rassicurazione. L’angelo deve rassicurare infatti non solo Maria ma anche Giuseppe.
Ecco allora la prima parola: “Non temere!”: il timore qui non è la paura, ma l’invito ad entrare nell’obbedienza della fede che domanda fiducia e collaborazione.
Dopo questo invito il messaggero può aprire la mente e il cuore di Giuseppe al suo compito. Lo fa rivolgendosi a lui con un titolo solenne: “Giuseppe, figlio di Davide”.
Così Giuseppe è introdotto nel grande contesto della storia della salvezza: nella promessa messianica che da Abramo, passa a Davide sino a giungere proprio a lui.
Matteo infatti ha iniziato il suo vangelo con la geneologia che partendo da Abramo giunge appunto fino a Giuseppe. Secondo il ritmo del testo, in cui si ripete monotonamente il verbo “generare”, ci si attenderebbe che anche alla quarantesima volta si dicesse: “Giuseppe generò Gesù”. Invece, arrivato a Giuseppe, l’evangelista scrive: “Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale è generato Gesù” (1,16).
Che ruolo dunque avrà dato che Giuseppe è escluso dalla generazione di Gesù?
Ecco che le parole del messaggero non spiegano la condotta di Maria, ma il posto che spetta a Giuseppe Il messaggero tocca il mistero con accenni delicati e riverenti: non ci si perde in chiacchiere e indiscrezioni. Si da una sola spiegazione: “Per opera dello Spirito santo”: è lo stesso contenuto della rivelazione fatta dall’angelo Gabriele a Maria: “Lo Spirito santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà” (Lc 1,35).
Ma non perché il concepimento di Maria è miracoloso ciò significa che Giuseppe debba trarsi da parte!
Giuseppe diviene padre del Messia senza che anch’egli abbia parte alcuna al suo concepimento, come anche Maria diviene madre senza che abbia conosciuto uomo.
v. 21:
Quale allora il compito di Giuseppe?
Maria partorirà un figlio, e compito di Giuseppe sarà di imporgli il nome “Gesù” che significa “Jhwh è salvezza”.
Per gli israeliti il nome indicava la natura e la missione di un individuo. L’imposizione del nome quindi era un atto per così dire creativo che apparteneva di diritto al padre. Il bambino non viene chiamato, secondo l’usanza, con il nome del padre o del nonno, o di qualche antenato
Ma nel caso di Giuseppe questo diritto appare limitato: il nome è dato da Dio stesso, il figlio è dono di Dio che domanda di essere riconosciuto e accolto. Anche in questo si rivela in Gesù una creazione del tutto nuova dono dall’alto e non frutto dell’iniziativa umana. Egli non è il figlio della carne e del sangue (cfr Gv 1,13), ma frutto unicamente dello Spirito.
Sia la paternità di Giuseppe che la verginità di Maria hanno una funzione eminentemente cristologica. La loro verginità mette in luce l’azione libera e creativa di Dio nella storia.
v. 22:
viene portata dal messaggero un’ulteriore conferma profetica. Il testo è di Isaia e riguarda l’Emannuele, profezia fatta al re Acaz in un momento tragico della storia del popolo di Israele: “Ecco: la vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli darà nome Emmanuele” (Is 7,14). Il testo di Isaia è uno dei caposaldi del messianismo regale.
Con questa citazione il messaggero conferma la discendenza davidica tramite la paternità di Giuseppe. Gesù sarà “figlio di Davide” perché figlio di Giuseppe. La promessa si attua attraverso la fondamentale mediazione di Giuseppe.
Come Maria da la carne al figlio, così Giuseppe gli dà il nome, lo iscrive e lo inserisce nella storia della salvezza.
v. 24:
Giuseppe fa come gli è stato ordinato. Un’obbedienza pronta e fiduciosa, scandalosa agli occhi della sapienza umana, molto simile a quella di Abramo. Nel silenzio accoglie il mistero. Dicendo “sì” a Maria dice sì al dono di Dio che è in lei. Quale sarà stato il grado di conoscenza che Giuseppe ebbe del mistero riguardante suo figlio? Avrà dovuto anch’egli come Maria “pellegrinare nella fede”, attraverso la prova, il buio, la speranza.
Come avrà vissuto il rapporto con Gesù?
E Gesù che tipo di rapporto avrà vissuto con il padre Giuseppe?
Una riflessione ulteriore ci dovrebbe spingere a considerare il ruolo educativo che Giuseppe come padre ebbe nei confronti del figlio. Gesù come ogni figlio non avrà preso a modello nella sua crescita il padre, non sarà stato lui un punto di riferimento essenziale?
Giuseppe come colui che educa alla fede e alla preghiera Gesù…
Giuseppe come colui che introduce Gesù nella fatica del vivere attraverso il proprio lavoro e l’assunzione delle proprie responsabilità….
La vera paternità non si risolve solo e anzitutto nell’atto biologico del generare. Si è padre soprattutto nell’assumersi il compito di educare alla vita quel figlio che ho davanti.
E ancora: quanto l’umanità di Cristo ha avuto bisogno della figura di Giuseppe per raggiungere la sua completezza, e questo a tutti i livelli?
Da tutto questo emerge uno spessore straordinario di Giuseppe nella storia salvifica. Il suo nascondimento e il suo silenzio più che adombrarlo manifestano il suo ruolo, sì nascosto e silenzioso, ma non per questo non meno fondamentale del ruolo di Maria.